(Photo by Daily Express/Hulton Archive/Getty Images)

Quando, il 25 novembre 2005, da Londra arriva la notizia della morte di George Best, il mondo del calcio è tutt’altro che sorpreso. In un certo senso, è come se fosse preparato ad un avvenimento solo allontanato ogni volta un po’ più in là. E questo, senza togliere nulla al dolore che la scomparsa di uno dei più grandi interpreti del football ha portato con sé.

Nato a Belfast nel 1946, sbarca a Manchester ancora ragazzino, a 15 anni. Il talent, del resto, è cristallino, straordinario, e a 17 anni è già titolare dello United di Matt Busby. Nella stagione 1964/1965, il contributo del giovanissimo Best è fondamentale alla conquista del campionato, ma è nel 1968, anno simbolico in Europa, che scolpisce il suo nome nella storia del calcio. Dopo la vittoria del secondo titolo inglese, trascina il Manchester United alla finale di Coppa dei Campioni. Di fronte, il Benfica di Eusebio. La firma di Best arriva nei supplementari, con il gol del 2-1 che apre la strada alle marcature di Kidd e Charlton. Finisce in gloria, 4-1, e a 22 anni George Best è il miglior calciatore del mondo, come attesta il Pallone d’Oro a fine anno.

Non è solo forte, è anche dotato di una leadership e di un fascino tali da renderlo una rockstar. I rotocalchi lo adorano, le ragazze anche, e lui non disdegna praticamente qualsiasi tipo di vizio. Beve, beve tanto, è il re indiscusso delle notti di Manchester, e agli allenamenti si presenta spesso in ritardo, in condizioni pietose. Il campo, così come i numeri, continua a dargli ragione, nonostante un rapporto difficile, spesso impossibile, con i compagni dello United.

La squadra, dalla vittoria della Coppa dei Campioni in poi, entra in una spirale di pessimi risultati, scendendo sempre più in basso e mettendo in fila piazzamenti ben lontani dalla gloria tanto recente. Best, in tutto ciò non fa che seguire la stessa identica spirale, in campo e fuori. Annuncia almeno due volte il ritiro, viene messo sul mercato e sospeso dalla prima squadra, e a nulla servono i cambi sulla panchina dello United. Nel 1974, a soli 28 anni, i Red Devils non ne possono più, e non gli rinnovano il contratto.

Per Best, ancora giovane, ma lontanissimo dagli standard di un atleta, inizia un triste e lungo peregrinare tra Stati Uniti, Inghilterra e Scozia. Giocherà, poco e a livelli tristemente bassi per un campione del suo calibro, fino al 1984. Senza mai prendersi la soddisfazione di giocare un Mondiale, che con la sua Irlanda del Nord sfiora soltanto nel 1965.

Non smette mai di bere, invece, dovendo presto affrontare gravi problemi si salute. Nel 2002 subisce un trapianto di fegato, nel 2003 si rivende il Pallone d’Oro, raccontando: “Non sono in miseria, non ho bisogno di denaro, però ho pensato che averne altro non sarebbe male. In banca, il trofeo non serve a niente. Se lo porto a casa me lo rubano. Se lo vendo, mi godo i soldi finché sono vivo”. Una star sublime in campo e senza freni fuori, che si è spenta 15 anni fa, dopo anni di malattie legate all’alcolismo, che gli ha distrutto i reni, spappolato il fegato, e bruciato la vita.