AIA, Trentalange: “Occorre far parlare gli arbitri”

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Il presidente dell’AIA Alfredo Trentalange, ha parlato all’Ansa, dopo la presentazione del nuovo logo dell’associazione. Queste le sue parole.

Bilancio sull’arbitraggio della prima giornata

“La prima giornata credo sia andata abbastanza bene, dobbiamo pensare che già solo la presenza del pubblico cambia lo scenario. I calciatori devono abituarsi a uno stile diverso, a una relazione diversa con l’ambiente”.

Una nuova classe arbitrale

“Stiamo puntando sui giovani – spiega – stiamo cercando di rinnovare una classe arbitrale che ha dato tantissimo e che ha bisogno di rinnovarsi. Non faccio bilanci sulla prima giornata ma la considero positiva, senza trionfalismi”.

Arbitraggio al femminile al più presto

“Non ci sarà più tanto da aspettare. Stiamo investendo sugli strumenti perché tutti abbiano le stesse opportunità. Una ricerca maggiore sulle problematicità che sono principalmente quelle atletiche, con preparatori che conoscano esigenze e stili di allenamento diversi. Vogliamo dare le stesse opportunità. Gandhi diceva ‘prima non ti considerano, poi di deridono, poi ti combattono, poi vinci’. Io credo in questo”.

La comunicazione tra arbitri e mondo del calcio

“Vogliamo essere innovativi ma non per moda. Per fare cose diverse e nuove, dobbiamo essere noi per primi nuovi e diversi. Una delle prime cose è riuscire ad aprire canali di comunicazione. L’arbitro del futuro deve essere un ricercatore e non un presuntuoso e parlare la stessa lingua delle altre componenti. E’ necessario costruire ponti, un linguaggio tecnico ed etico. L’AIA del futuro deve necessariamente aprirsi. Si può arrivare, ci abbiamo provato. Siamo molto bravi ad arbitrare – ammette – un po’ meno a comunicare. Perché si possa fare questo ci devono essere però i presupposti. Il canale di comunicazione non può essere a intermittenza, non può essere solo su ciò che divide, non si può fare troppa dietrologia. Se vogliamo fare cultura sul fair play e sull’etica, dobbiamo tutti sforzarci di comprendere l’altro. La comunicazione deve partire dai punti di forza che non possono essere solo gli errori che umanizzano l’arbitro, ma dietro il lavoro dei fischietti c’è molto altro. Valori che vanno promossi e condivisi”.