Atalanta, adesso la Champions è diventata una formalità

A un passo dal sogno

Se la Serie A finisse oggi, l’Atalanta sarebbe in Champions League per la terza stagione consecutiva. Nessuna, delle attuali prime quattro, ha fatto meglio nello stesso periodo. Segno di una solidità che non ci stancheremo mai di raccontare, figlia di una società sana e imperniata su un allenatore, Gasperini, che a Bergamo ha trovato la sua dimensione. Dopo le cinque reti rifilate ieri al Parma retrocesso, che hanno portato a 84 le reti segnate, la qualificazione all’Europa che conta è diventata una formalità. Il calendario, infatti, nelle ultime giornate prevede Benevento, Genoa e Milan. Non una passeggiata di salute, ma con la Juve che dovrà vedersela con Inter e Sassuolo, e la Lazio che ha accumulato ormai 8 punti di ritardo, diventa davvero difficile immaginare l’Atalanta fuori dalle prime quattro.

Zapata-Muriel come la Lu-La?

Anche perché, il momento di forma è sotto gli occhi di tutti, così come la capacità di trovare sempre nuovi interpreti all’altezza della situazione. Un anno fa, il mattatore era stato Duvan Zapata, quest’anno leggermente sottotono, ma comunque a quota 14 reti in campionato. Meglio di lui, Luis Muriel, a quota 21 reti a poche giornate dalla fine della sua stagione migliore. Entrambi colombiani, entrambi classe 1991, al culmine delle loro carriere. Oggi, dietro alla Lu-La dei nerazzurri di Milano, per prolificità e qualità c’è la coppia gol dell’Atalanta. Senza dimenticare Ilicic, capace di accendersi a intermittenza, ma in maniera abbacinante.

Una squadra costruita dal basso

E quasi nulla, alla Dea, ha tolto l’addio al capitano a metà stagione. Il Papu a Siviglia sta vivendo una situazione ed una dimensione molto simili a quelle dell’Atalanta, dove i vari Malinovskyj, Pessina e Miranchuk, hanno fatto dimenticare in fretta Gomez, solista meraviglioso in un macchinario perfetto. Costruito pezzo dopo pezzo, senza sbagliare un colpo, e qui gran parte del merito è di Gabriele Zamagna e Giovanni Sartori. Capaci di portare a Bergamo giocatori semi sconosciuti diventati oggi tra i migliori interpreti del ruolo. Basti pensare ai vari Hateboer, Freuler, Gosens, Castagne, Palomino. Giocatori pesati in giro per l’Europa spendendo cifre a volte davvero ridicole.

Attenzione però, perché non è solo con le scommesse che i Percassi hanno saputo costruire un’Atalanta da Champions. La bravura, in realtà, è stata principalmente quella di saper scovare e valorizzare giovani talenti, e reinvestire nel modo giusto. In effetti, gli ultimi due mercati sono stati interamente finanziati dalle cessioni di Kulusewski e Traoré, che con la maglia della Dea non hanno praticamente mai giocato. Prima di loro, c’erano stati i vari Caldara, Gagliardini, Conti, Cristante.

Gioielli venduti alle big, che hanno pagato gli acquisti più costosi, come quelli di Muriel (21 milioni di euro), Zapata (26 milioni di euro), De Roon (13,5 milioni di euro) e Malinovskyi (13,6 milioni di euro). Se alla ricetta si aggiungono un centrale di assoluto livello come Romero, strappato alla Juventus per 16 milioni di euro, e un centrocampista come Pessina, il periodo d’oro dell’Atalanta si spiega da sé. E la terza qualificazione consecutiva in Champions League, dopo una stagione durissima, non è che il giusto premio alla programmazione e all’ambizione dei Percassi.