Baggio: “la semifinale mondiale il ricordo più bello”

Baggio, il calcio italiano

Baggio, il calcio italiano Credit: Imago

Il Brasile ha Pelé, l’Argentina ha Maradona, l’Italia, nel pantheon del calcio, riserva da sempre un posto d’onore a Roberto Baggio. Campione universale, capace di regalare un sogno appena accarezzato, quello del Mondiale di Usa ’94. Genio senza sregolatezza, al contrario, per quanto difficile da incasellare nei rigidi sistemi tattici dei top club italiani degli anni Novanta. Alla fine, è stata quasi una fortuna, perché di Roberto Baggio si sono innamorati, piano piano, tutti. Prima i tifosi del Vicenza, che l’hanno visto crescere. Poi quelli della Fiorentina, che l’hanno visto sbocciare ed incantare la Serie A. Prima di vederselo portare via dall’odiata Juventus. Da cui il Divin Codino va via l’anno dopo il Mondiale.

Al Milan non sarà quasi mai il Roberto Baggio del Pallone d’Oro, e ci vorrà una stagione al Bologna per ritrovarsi e regalarsi prima un biennio all’Inter, poi un finale di carriera eccezionale al Brescia. Quattro stagioni in provincia, vissute con la leggerezza di chi ha già dimostrato tutto. Le ultime partite con le rondinelle, nella primavera del 2004, furono un toccante e lungo saluto al calcio, un tour degli stadi emotivamente insostenibile per chi, con Roberto Baggio, ha imparato ad amare il calcio. Dopo 17 anni, è ancora lui il punto di riferimento e la scomoda pietra di paragone per ogni talento che calchi un campo di calcio e abbia l’ardire di indossare la “10”.

Domani, su Netflix esce il film sulla sua vita, “Il Divin Codino“, e chi ha avuto la fortuna di vederlo giura che sia bellissimo. Oggi, sul “Corriere dello Sport“, a ricordare il peso, ma anche la bellezza, degli anni che passano, la bella intervista di Ivan Zazzaroni. Una full immersion tra ricordi e presente. Il più bello? “Forse la semifinale del Mondiale, in America. Il sogno che stava per realizzarsi, il momento che si avvicinava. Vedevo materializzarsi il sogno che avevo rincorso da bambino. Poi mi sono svegliato. Mi è arrivato addosso un treno a trecento all’ora. Mamma mia, che tranvata“, racconta Roberto Baggio.

Sul rapporto con il calcio, Roberto Baggio non è così certo di avere avuto dal pallone tutto quello che cercava e immaginava. “Non lo so, non lo so. Se facessi due conti dovrei sentirmi strafelice perché ho giocato tanti anni contro il parere dei medici e contro la logica del tempo. Già questo è tanto. La cosa più bella è aver compiuto il percorso nonostante le mie strade sembrassero segnate. Il sogno della finale col Brasile avrei dovuto accantonarlo e invece ci sono arrivato. Sono soprattutto orgoglioso, perché so di aver dato tutto. E non ho rimpianti, a non avere mai rimpianti mi ha insegnato mio padre“.

Eppure, pure senza avere rimpianti, ancora oggi Roberto Baggio ammette di sognarsi calciatore. “Qualche volta, sì. Io sono un sognatore nato, l’Acquario è il sognatore per eccellenza. Sogno di tornare indietro per riscrivere la storia, poi mi sveglio tutto sudato”. Questo, però, non ha nulla a che vedere con la felicità, perché “Sono felice perché vivo di cose semplici. Semplici, ma non vuote”, dice ancora il Divin Codino al “Corriere dello Sport“.

Tra ricordi di campo, Brescia, Guardiola, la Nazionale, i rapporti con gli ex compagni, Roberto Baggio lascia anche un monito ai più giovani, troppo spesso sotto pressione e messi di fronte a scelte difficilissime, nell’età in cui tanti loro coetanei hanno ben altro a cui pensare. “Non è facile gestire certe situazioni quando si è giovani, sono prove complicatissime. Basta una stupidaggine, una parola fuori luogo, un comportamento sbagliato e finisci per essere giudicato. Quel gesto, quella frase ti si incollano addosso e te li porti dietro per tutta la vita. A volte mi metto nei panni di certi ragazzi obbligati a decidere del loro futuro: rischiano di commettere errori dai quali non si libereranno più. Noi parliamo di episodi di trenta, venti, dieci anni fa. Giudichiamo le reazioni di quel tempo. Situazioni professionali, economiche, rapporti con le persone nelle mani e nella testa di poco più che ventenni”.