(Photo by MARCO BERTORELLO/AFP via Getty Images)

Il rilancio in campionato, con le vittorie facili contro Sassuolo e Bologna, inframezzate dal 3-2 della speranza di una settimana fa sul campo del Borussia M’Gladbach, aveva fatto sperare in un epilogo diverso. E invece, le speranze europee dell’Inter si sono schiantate sul muro eretto dallo Shakhtar a San Siro. Un muro che gli attaccanti nerazzurri non hanno saputo abbattere, e che, non si sa perché, ha sorpreso anche Antonio Conte. Ripartiamo da qui, perché sullo 0-0 e su come è maturato abbiamo già scritto, sul valore ed il senso che assume nella stagione dell’allenatore interista ancora no. Ai microfoni di Sky, nel post partita, è andato in scena l’ennesimo scontro/crisi di nervi. Imbeccato da Fabio Capello, un ex collega, più o meno simpatico ma che merita comunque un certo rispetto, Conte non ha saputo dare risposte a domande, tutto sommato, banali.

E allora ci proviamo noi. Sì, uscire dall’Europa, non solo dalla Champions, dopo aver raccolto la miseria di 6 punti, in un girone decisamente abbordabile, è un passo indietro. Un gigantesco passo indietro rispetto alla scorsa stagione, quando i nerazzurri arrivarono perlomeno a giocarsi l’Europa League. E un deciso passo indietro rispetto alle ultime gare, che sembravano aver dato la svolta necessaria alla stagione nerazzurra. Ma non è un passo indietro figlio di un risultato, ma di un atteggiamento tattico insufficiente a superare un girone di Champions League. E lo ha ammesso, tra le righe, lo stesso Conte. Sorpreso che lo Shakhtar sia venuto a San Siro per fare le barricate e non per giuocarsi la partita, come nella semifinale di Europa League. Quando, e Conte lo sa benissimo, ci si giocava tutto in 90 minuti, dominati in quell’occasione dall’Inter.

Gli ucraini, ieri sera, hanno fatto la loro onesta, onestissima, partita. Hanno contenuto gli attacchi nerazzurri e resistito fino alla fine, centrando un obiettivo importante: l’Europa League. Che all’Inter sarebbe andata strettissima, per le ambizioni, giuste, che aveva, in Europa come in Italia. Ambizioni frustrate un’altra volta, come un anno fa, senza nessuno a cui poter dare la colpa. Il biscotto, tanto temuto, tra Real e Gladbach, non c’è stato, al contrario: tutto dalla Spagna andava in soccorso dell’impresa interista. Impresa che, però, non è arrivata. E chissà se e quando arriverà mai il momento dell’autocritica. Di certo, ironizzare sulla totale assenza di un piano B (“ce l’abbiamo ma non lo diciamo”, ha risposto un nervosissimo Conte alla domanda di Capello), o prendersela con VAR e arbitri, ormai serve a niente.

La corsa europea è finita, e la brutta notizia è che così cresce la pressione sull’Inter per la corsa Scudetto. E hai voglia ad abbassare le aspettative: con una rosa così, un allenatore così, e un solo obiettivo, il secondo posto equivarrebbe ad un altro flop. Ma non siamo noi a dirlo, sono i numeri ed il calendario. Con il secondo monte ingaggi della Serie A e 28 partite da giocare (non consideriamo la Coppa Italia, che diventa competitiva solo a marzo) non può essere altrimenti. Specie in una stagione interlocutoria come questa, in cui le buone idee (leggi “Milan”) si dimostrano sufficienti per stare in vetta.

Le idee che ieri sera sono mancate a Conte, che per settimane ha provato a costruire un’Inter diversa, “giochista”, come si dice oggi. Per poi tornare di corsa alla compattezza del 3-5-2 tutto corsa e sostanza. Un modulo congeniale alla rosa dell’Inter e su cui il suo allenatore ha costruito i successi degli anni scorsi. Da cui resta ai margini Eriksen, che possiamo ormai considerare come un errore di programmazione. Uno spartito piuttosto semplice, da cantare a memoria, ma che in certe occasioni necessita di variazioni sul tema, anche radicali, per non diventare noioso e prevedibile. Chissà che Inter vedremo da adesso in poi, di certo con un fantasma in meno, quello di un biscotto che nessuno, a Madrid, aveva intenzione di propinare ai nerazzurri. Bravissimi, purtroppo, a farsi male benissimo da soli.