Editoriali
L’Editoriale – Con l’Empoli il Napoli raggiunge la settima vittoria consecutiva
Nonostante l’inferiorità numerica, il Napoli trova il successo anche al Castellani contro un Empoli troppo morbido, di seguito l’Editoriale per Calcio in Pillole.
L’Editoriale – Con l’Empoli il Napoli raggiunge la settima vittoria consecutiva
(Photo by Gabriele Maltinti/Getty Images)
Il Castellani è spesso stato luogo di perdizione per concretezza ed ambizioni azzurre. Tuttavia, è una stagione, questa, in cui il Napoli non trasgredisce dalle proprie abitudini. Questo sabato non poteva essere da meno.
La vivacità è un fattore che accompagna sin dall’inizio le due compagini. Gli empolesi mostrano di sapersi ben frapporre agli azzurri per condotta. Seppure l’aggressività degli uomini di Spalletti sia, infatti, notevole, l’Empoli non si fa dispiacere per pressione e recupero palla.
L’autorete si configura, per questo, come l’episodio che condanna ingiustamente un buon Empoli. La sfortunata deviazione di Ismajli, però, può spiegare tanto della dimensione che molti azzurri hanno saputo raggiungere. È la pressione psicologica, il timore atavico di mostri sacri da 56 gol in campionato che ti costringe alla contromisura forzata, al pensiero rapido, ed all’errore.
Il Castellani è anche luogo di paradossi, dolci e amari, per i campani. Lo scorso anno il doppio vantaggio innescava l’inizio del vortice depressivo. Un torpore che avrebbe accompagnato la squadra sino agli scetticismi della nuova stagione. La rete del vantaggio di quest’oggi, invece, ha l’effetto di conferire ulteriore verve ai partenopei. Gli azzurri si nutrono di sé stessi. L’Empoli prova a reagire ma il Napoli comincia a macinare il suo gioco, ed il suo dominio. È in una di queste prolungate proiezioni che arriva il raddoppio di Osimhen, per indirizzare subito la gara e cominciare nella sapiente gestione delle risorse. È una grande squadra quella di Spalletti, ed a tal motivo Zanetti si sarebbe aspettato dai suoi un’attenzione ai limiti del perfezionismo. Il nigeriano viene invece lasciato colpevolmente solo per la facile ribattuta, aprendo le danze di un controllo sfacciatamente imposto ai toscani.
I padroni di casa risentono dell’uno-due napoletano. L’aggressività della prima mezz’ora affievolisce il proprio impeto, sino a decretare una contrapposizione troppo lasciva. Il palleggio diviene appannaggio degli ospiti. Le distanze tra gli uomini di Zanetti si allargano, ed i buoni propositi risentono della scarsa partecipazione. Gli uomini di qualità non mancano a questo Empoli, ma la montagna da scalare non consente agli empolesi di accompagnare con convinzione le episodiche giocate dei singoli. Nemmeno la superiorità numerica riesce a fornire i toscani della giusta intensità
A tal proposito, l’aria di Empoli deve aver riportato Mario Rui ad un passato infausto. Trascorsi fatti di eccessi e turbolenze. Un déjà vu di un Napoli ormai relegato al ricordo, che per un attimo è tornato a palesarsi, nei panni del terzino.
L’inferiorità è, anzi, l’ennesima occasione di ribadire il proprio spessore, ed una mentalità che alberga soltanto nelle grandi squadre. Gli sforzi si moltiplicano, la qualità ed il controllo rimangono invariati.
L’Editoriale – Con l’Empoli il Napoli raggiunge la settima vittoria consecutiva
(Photo by Gabriele Maltinti/Getty Images)
L’Empoli ha il merito di aver disputato un campionato che, sinora, non può esimersi da elogi. L’obiettivo della salvezza è ormai alle porte. La squadra potrà giovarsi fino a giugno di una certa serenità. Per questo ci si attendeva un Empoli sicuramente diverso, soprattutto nella condotta. I due gol sono una condanna che ha tagliato le gambe nel primo terzo di gara. Ciononostante, le gare si chiudono al novantesimo e questo Empoli aveva l’obbligo di accennare una contrapposizione. Gli uomini di Zanetti hanno sempre saputo avvalersi del gioco come accompagnamento del valore dei propri talenti. Un’abitudine che non può conoscere pause, o sfavorevoli circostanze.
Il Napoli è un predatore famelico che non conosce sazietà. Cambia l’avversario ma la fame resta invariata. Intensità e qualità sono un mix letale, ma il difficile viene nella continuità. Gli azzurri, però, disconoscono il fallimento. Insistono nel cammino che anche oggi li avvicina al traguardo. Spalletti aveva accennato agli ‘occhiali del fabbro’ in conferenza. I suoi uomini paiono proiettarsi dritti all’obiettivo, con l’ignoranza sistematica di ogni cosa che possa essere contorno. Verso la meta, anche oggi con coscienza, e soprattutto bellezza.
Editoriali
L’Editoriale – Il Napoli si abbandona alla festa con una vittoria sulla Samp
Il Napoli vince contro la Samp nell’ultima sfida di questo campionato, dando così il via ai festeggiamenti tricolore, di seguito l’Editoriale per Calcio in Pillole.
L’Editoriale – Il Napoli si abbandona alla festa con una vittoria sulla Samp
(Photo by TIZIANA FABI/AFP via Getty Images)
Napoli e Sampdoria si congeda i da questo campionato con percezioni sul futuro, e su quel che è stato, che mai potrebbero essere più agli antipodi. Una gara che è passerella per gli azzurri e ultimo moto d’orgoglio per i doriani.
Il match è, come preventivabile, un monologo dei partenopei. Qualità e fluidità di fraseggio che giovano di una comprensibile scioltezza. Tocchi di prima, triangoli e scambi rapidi conducono gli uomini di Spalletti a corridoi raramente esplorati. La Samp non disdegna di ricercare il più classico dei colpi da contropiede, pagando però di imprecisione.
Nel secondo tempo c’è maggiore libertà dagli usuali spartiti e, di conseguenza, maggiore improvvisazione nella manovra di casa. Non ne risente il predominio territoriale del Napoli, che gestisce con tranquillità palla ed avversario. Predominio che poteva concretizzazione nella freddezza, ritrovata, del capocannoniere principe del campionato. Osimhen sale a quota 26, ed a 31 in 38 partite. Numeri del predatore.
La Samp subisce un colpo che, al netto dei numeri, probabilmente la punisce in modo eccessivo. Sino a quel momento i blucerchiati avevano denotato un buon impatto con la gara, mentale e fisico, e senza rischiare troppo. Il gol ha però l’effetto di stappare il match, con buona pace della suddetta tenuta doriana.
Cominci a un assedio nella bolgia di calore e colore (azzurro) del Maradona. La fame insaziabile del vincitore che conduce i partenopei alla ricerca di una gioia che non vuole avere fine. La foga gioca brutti scherzi a Gaetano, ma guida il missile di Simeone dritto all’incrocio dei pali. Un gol straordinario, l’ennesimo del Cholito, che fiero mostra quella maglia ai 60000 del Maradona, appunto.
Romanticismo che solo il calcio sa regalare, e che accompagna Fabio nel tripudio caldo di casa sua. Duecentodue gol, passioni, rispetto e amore per la maglia. Fabio meritava l’addio a quel mondo a cui ha saputo solo regalare nel teatro di una terra che ha sempre amato. Come un film, ma è ‘solo’ calcio.
L’Editoriale – Il Napoli si abbandona alla festa con una vittoria sulla Samp
(Photo by TIZIANA FABI/AFP via Getty Images)
Un sistema societario che mai è stato sistema. Una società che mai è stata società. Una dirigenza che persisteva nel dolo di una mano di Giuda che, scientemente e colpevolmente, accompagnava un popolo mai domo d’amore verso il baratro del buio più totale. Ostaggio di un ricatto che minacciava persino di ridimensionare la catastrofe. La Sampdoria si congeda da questo campionato con la sensazione d’aver subìto un furto: quello della propria passione.
Sul campo non poteva che consumarsi il dramma sportivo in senso lato. Il prato non poteva accogliere più che guerrieri inermi, che inesorabili raccoglievano le macerie di una consapevolezza amara. Non si negano le responsabilità di chi era chiamato a calpestare il prato. I blucerchiati legittimano l’ultima posizione con il trend peggiore in tutte le statistiche, e con il cruccio di chiudere a otto lunghezze dalla neopromossa Cremonese. Troppo, forse. Tuttavia, ci sarebbe piaciuto vedere una squadra potersela giocare in linea con le esigenze della massima serie. Si ripartirà, dunque, da un purgatorio che sarà sicuramente breve. Ad Maiora Samp, arrivederci al 2024.
Si chiude un cerchio a trentatré giri. Trentatré primavere, tra atroci delusioni e rammarichi d’incompiutezza. Un viaggio lunghissimo, dal tetto del Mondo al gradino più basso del calcio nostrano. Il lavoro, la competenza, il progetto e la pazienza. I talenti che vanno e vengono, i campioni immortali ed i traditori. Un passo alla volta il Napoli si avvicinava ad un capitolo nuovo della propria storia: l’immortalità di chi non ti aspetti. Tra lo scetticismo, le contestazioni ed i malumori Spalletti e i suoi uomini hanno costruito il preludio di un successo che porta il Vesuvio, nuovamente, su quel tetto.
Una stagione mai sotto la soglia dell’imperfettibile. Nove mesi di calcio vero, di scoperta di chi giungeva nell’ignota certezza e di vittorie. Vincere e convincere, nell’accezione più bella possibile del calcio. Questo è stato il Napoli di questi nove mesi che, siamo sicuri, i tifosi azzurri non avrebbero voluto che finissero mai. Da lassù si sta bene. Dal gradino, stavolta, più alto, per tornare a volgere per la terza volta la Coppa al cielo.
Altro
Qui c’entra poco Perrault, ma il “gatto” Spalletti avrà i suoi stivali…
Silenzi assordanti. Bocche cucite e parole non dette. O almeno mai chiarite fino in fondo. La fine del rapporto tra il Napoli e Luciano Spalletti è stata ufficializzata ieri sera direttamente da Aurelio De Laurentiis. In diretta tv (da Fazio). Il presidente ha raccontato motivi e retroscena della separazione dall’allenatore che ha guidato la squadra al terzo scudetto.
Qui c’entra poco Perrault, ma il “gatto” Spalletti avrà i suoi stivali…
Solo per te. Sarò con te. Gli slogan di Spalletti si consumano dal suo avvento all’ombra del Vesuvio. Napoletanità in barba alle napoletanerie più ampollose. Timoniere di una squadra artefice del proprio destino, rispetto a un multiverso complesso e sfaccettato che ama dividersi su ogni cosa. Luciano ha messo d’accordo tutti. Amato in maniera universale ed inesauribile, tanto da rimanerne scarico. Non c’è bisogno di “ali”, ma di “stivali”. Per ripartire, riposare, rigenerarsi.
“Non ci vogliono un paio d’ali ma un paio di stivali. Non ho da volare da nessuna parte io”, ha tuonato qualche settimana fa in merito alle dichiarazioni criptiche del patron. L’allenatore contadino, e non crediamo che Spalletti si offenda. Toscano di campagna, Spalletti è proprietario di due tenute terriere, due “fattorie” vere, ettari in cui si semina e si raccoglie, si imbottigliano vino e olio e si allevano animali, una a Montaione e l’altra a Montespertoli, sulle colline attorno ad Empoli. Questa è anche la dimostrazione che la fiaba è in grado di portarci là, in quelle profondità dove spesso è difficile arrivare per altre vie.
Un uomo semplice con aspirazioni elevatissime. Disposto a tutto pur di andare dritto per la sua strada. A costo di farsi male. È successo a ogni latitudine, anche a Napoli, dove prima gli rubavano la Panda e ora lo vogliono santo. Subito. Il ritardo è stato “scusato”, l’importante è che Spalletti abbia ottenuto quel che merita, un titolo di primo livello che lo consegna alla storia vera. Spalletti ha vinto due campionati e coppe in Russia, Coppe Italia e Supercoppe alla Roma, ma lo scudetto lo eleverà nel circolo dei grandi.
Un allenatore preparatissimo e sempre stato capace di produrre cose utili e talvolta in grado di esaltare rose non sempre all’altezza della situazione, sempre massacrato alla prima occasione utile da stampa e tifosotti (sicuramente aizzati) a testimonianza del crescente degrado del movimento calcistico nazionale, oggi protagonista “semplicemente” di un’annata perfetta in un contesto dove è evidente che ci sia grande sinergia. Napoli resta sulla pelle, sarà cittadino onorario (verrà onorato di questo “premio” per lo scudetto riportato in città dopo 33 anni), Napoli rimarrà sempre nei suoi ricordi più belli, Napoli lo “perdonerà” per questa sua dimostrazione (ulteriore) d’amore. Luciano è stato direttore d’orchestra di un gruppo meraviglioso, in una sorta di luna park della narrazione. La città, i tifosi, capiranno. Ha saputo aspettare il suo momento, se lo merita. Come merita questo “riposo”.
Editoriali
Quagliarella merita il “grazie” di tutti: perchè l’attaccante ha segnato un’epoca
Vedere Quagliarella che lascia lo stadio Ferraris tra gli applausi è un’emozione anche per chi non è cresciuto a pane e Ramazzotti (il cantante e non l’amaro) che fa fatica a capire cosa sia – più per stato che per sinossi – un’emozione per sempre. Fabio Quagliarella c’era davvero in ogni momento. Avversario per molti, compagno per tanti altri: certezza per tutti quelli che amano il bel calcio. Quello fatto di strette di mano prima che di firme e contratti.
Lui l’Italia di quel calcio se l’è girata negli anni: un cosmopolita con la Juve Stabia nel cuore e la valigia in mano. Alla Juve prestazioni importanti, portato a Torino per motivi personali che ha rivelato solo dopo: il dramma dentro casa, quando casa l’aveva trovata. A Napoli. Da dove non sarebbe mai andato via se non per cause di forza maggiore, le stesse che ha raccontato tempo dopo a Le Iene. Quando ogni problema era risolto. Non ha baciato nessun’altra maglia al di fuori di quella azzurra (del Napoli e della Nazionale), ma ha dato il massimo per chiunque.
Quagliarella, quelle lacrime hanno unito una nazione
Alla Sampdoria non ha fatto eccezione: 9 anni con Ferrero e un patto di lealtà rispettato fino alla fine. Persino quando ci sarebbe stato qualcosa da dire – e pretendere – lui non ha fatto una piega. L’attaccante ha risposto con quello che sa fare meglio: giocare a calcio. Senza stare altrove, magari sulle pagine dei giornali a dire la sua. Parlavano e parlano i fatti. Il resto si vedrà: ecco perchè adesso – che le somme bisogna tirarle davvero – nessuno sa che fare.
(Photo by Getty Images)
Intanto si potrebbe cominciare con l’asciugarsi le lacrime, per poi capire cosa fare con questo “viaggio eccezionale” intrapreso negli anni. Il ritiro è un’opportunità, ma lui non si rassegna: vuole riportare la Samp in A. Dove merita, ha detto. Quindi, l’ultima parola passa alla (nuova) società: deciderà lei se tenerlo ancora oppure no. Anche nel momento in cui poteva sbattere i pugni sul tavolo, ha preferito tendere una mano e fare una carezza. Questo si chiama sport e Fabio Quagliarella l’ha sempre fatto. Possibilmente una spanna sopra gli altri. Anche e soprattutto per questo, le sue lacrime sono anche le nostre.
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