In Europa, la complessità e la bellezza del calcio

La narrazione giornalistica, che racconta il calcio calcando spesso la mano, racconta un mondo diviso in fazioni. Da una parte i “giochisti”, dall’altra i “risultatisti”. Una divisione ideale e ideologica che non solo non rappresenta il calcio di oggi, ma neanche i suoi appassionati. Eppure, è uno schema che piace molto, specie in Italia, o forse solamente in Italia. Per carità, esistono scuole e tradizioni che, in un certo senso, corroborano questa teoria. La Juventus, ad esempio, non è mai stata squadra dedita allo spettacolo, ma alla sostanza. Allo stesso modo, l’Ajax e il Barcellona, storicamente, sono club votati alla ricerca del bel calcio e dell’innovazione.

Il dibattito, per quanto stucchevole, continuerà per mesi, ci mettiamo la mano sul fuoco. Ma è solo una semplificazione, assolutamente insufficiente a raccontare la complessità, e la bellezza, del calcio. Specie quello di oggi, che ricalca come un foglio di carta carbone il mondo in cui è immerso. Un mondo in cui le idee viaggiano libere, si incontrano, si mescolano, come gli schemi e gli approcci alla partita. Senza più capire, in fin dei conti, neanche chi abbia inventato cosa. Pep Guardiola ha abbandonato il tiki taka che l’ha reso famoso per evolversi in uno stile molto più solido, potremmo dire inglese. Zinedine Zidane, invece, è l’espressione di un pragmatismo che accomuna molti, da Allegri a Conte, tornando in Italia.

In comune, restando sull’esempio, i tecnici di Manchester City e Real Madrid hanno davvero poco. Se non l’efficacia del proprio approccio e del proprio lavoro, e la capacità di far rendere al meglio le squadre che allenano. Guardiola ha costruito il City a sua immagine, ed è il primo ad ammettere il “segreto” del suo successo: tanti, tanti soldi. Zidane, invece, si è ritrovato a guidare un gruppo di enorme talento, nel bel mezzo di un cambio generazionale. Il Real, comunque vada, ha possibilità economiche che poco o nulla hanno da invidiare agli inglesi, ma anche un approccio diverso sul mercato. Difficilmente la dirigenza madridista accetterebbe di spendere 80 milioni di euro per un difensore, specie in assenza di un ritorno in termini di marketing e visibilità

Due modelli diversi, ma funzionali, e se il City è spesso e volentieri un piacere per gli occhi, il Real regala gioie ai suo tifosi, basti pensare alle tre Champions League in fila vinte tra il 2016 e il 2018. Che poi, alla fine dei conti, è ciò che conta. Zidane e Guardiola – ma il discorso vale anche se sostituiamo Tuchel al primo e Klopp al secondo, al netto dei rovesci di questa stagione – sono quindi due “risultatisti” in maniera diversa. Ma anche due “giochisti” in maniera diversa, perché il contropiede è un’arte, renderlo efficace, a volte, diventa poesia.

Quello che ci racconta e ci lascia questo turno di Champions League, alla fine, è che il calcio è molto più complesso di come lo si vorrebbe rappresentare. Ma anche più bello di quanto lo si riesca a raccontare. E alla fine, seppure vincere non è l’unica cosa che conta, provarci, ognuno con i proprio mezzi, è un dovere. Ecco, forse è proprio ciò che è mancato alle italiane: la solidità di progetti all’altezza, ma anche il coraggio di provarci fino in fondo. Certo, senza programmazione, giocatori di qualità ed investimenti seri, il gap è destinato a rimanere invariato, ma qualcosa, anche dal punto di vista tecnico, è decisamente rivedibile.