Inter? Il vero ridimensionamento è quello della Juventus

Si è parlato molto in estate della situazione dell’Inter. Società indebitata, costretta a vendere pezzi pregiati, un allenatore che non crede più nel progetto e lascia la nave che affonda senza pensarci troppo, rimpiazzato da un tecnico meno quotato. I commenti della stampa sportiva sono stati pressoché unanimi: è un ridimensionamento, se non proprio uno smantellamento. Analisi del tutto comprensibile e per molti aspetti condivisibile, non fosse per il fatto che nel frattempo nessuno o quasi tra gli addetti ai lavori ha evidenziato che lo stesso meccanismo d’involuzione riguarda anche un’altra big del nostro campionato: la Juventus. E lo fa in maniera finanche peggiore.

Una società allo sbando

Chi scrive ha già affrontato il tema dei numerosi errori della dirigenza negli ultimi anni, una catena di scelte sbagliate che non sembra arrestarsi. Quello che è successo nell’ultima settimana è emblematico di questa confusione. Il calciatore più pagato della storia del club, uno dei migliori giocatori di tutti i tempi, arrivato tre estati fa con la speranza (che per alcuni si traduceva già in certezza) di portare la Juventus in un’altra dimensione, quella del top club che parte favorito per la vittoria della Champions League, l’agognata coppa dalle grandi orecchie che la vecchia signora ha già visto sfuggire per sette volte all’atto finale rendendola un’autentica ossessione, ecco, quel calciatore scappa via negli ultimi giorni di mercato, dopo aver cercato per tutta l’estate un club disposto a sobbarcarsi il suo ingaggio, lasciando la squadra molto più debole di come l’aveva trovata al suo arrivo nel 2018.

Il tempo per trovare un sostituto è poco, il denaro a disposizione scarseggia, così la Juventus decide puntare su un ragazzo cresciuto nelle giovanili del club, che dopo un esordio incoraggiante in prima squadra viene ceduto senza pensarci troppo, salvo poi essere riacquistato due anni dopo per mancanza di alternative. Che senso ha tutto questo? Qual è la visione della dirigenza sul futuro (ma anche sul presente) della Juventus?

Dall’acquisto di Cristiano Ronaldo pare proprio che il caos abbia avuto la meglio sulla consueta stabilità e programmazione sabauda. Al netto dei due scudetti vinti, tutto il resto è indicativo di una parabola discendente. Se in Champions League nei quattro anni precedenti erano arrivate due finali, dal 2018 al 2021 i bianconeri non sono mai andati oltre i quarti; eliminati nell’ordine da Ajax, Lione e Porto, non esattamente delle corazzate.

Sugli arrivi meglio stendere un velo pietoso: fatta eccezione per Chiesa e De Ligt, gli altri acquisti degli ultimi anni, chi più chi meno, non si sono dimostrati minimamente all’altezza. Rabiot e Ramsey dovevano dare nuova linfa al centrocampo, ma hanno finito per affossarlo; Arthur è parso troppo discontinuo; Danilo si è rivelato tutt’altro che affidabile; Morata è un attaccante generoso, ma dalla vena realizzativa rivedibile; Kulusevski è ancora un enigma tattico. Il mercato di quest’anno, segnato dalle ristrettezze dovute alla crisi Covid, ha portato in dote i soli Kaio Jorge e Locatelli (con quest’ultimo che verrà pagato solo tra due anni), buoni prospetti ma che difficilmente sarebbero titolari in un top club, e che in fin dei conti non lo sono nemmeno in questa Juve.

E CR7? Su di lui ha già detto tutto Giuseppe Pastore in questo articolo, un giudizio su cui è difficile non essere d’accordo. Ma la dimostrazione più plastica del caos dirigenziale è in panchina. In quattro stagioni si sono susseguiti altrettanti allenatori, una triste inversione di rotta rispetto al quadriennio precedente, cominciato e finito con Massimiliano Allegri. Dal 2018 al 2021 si è invece passati da Allegri…ad Allegri. Nel mezzo le esperienze di Sarri e Pirlo, segno di una trasformazione dal risultatismo al bel gioco (in quel momento ritenuta indispensabile per un trionfo europeo, dimenticandosi di Zidane, Mourinho e Di Matteo), abbozzata ma rimasta incompiuta, con l’inevitabile epilogo della restaurazione allegriana.

Sarri aveva anche vinto lo scudetto, come anche Allegri l’anno prima, ma non è bastato a restare in sella, complici le delusioni europee. Figurarsi Pirlo, che ha acciuffato la qualificazione in Champions solo all’ultima giornata. Il tecnico livornese nei suoi cinque anni sulla panchina bianconera aveva vinto tutto in Italia e sfiorato per ben due volte il colpo grosso in Europa; a un certo punto però si è deciso che il suo gioco (o per i detrattori l’assenza di gioco) era inadeguato, e per questo andava esonerato.

Due stagioni con pochi alti e molti bassi hanno indotto la società a fare marcia indietro, quasi si fosse trattato di una svista da correggere. Ma può essere giudicata positivamente una società che esonera Allegri in nome della svolta “europeista” per poi riaccoglierlo come il salvatore della patria solo due anni dopo? A quanto pare sì, ma resta un grave errore, che danneggia in primis la stessa Juventus.

La riverenza è un boomerang

Sì perché è davvero difficile leggere in questi anni un’analisi cruda della situazione in casa Juventus. Il caos aumentava, ma tutto sembrava sotto controllo, una normale evoluzione con i suoi naturali contraccolpi. Così la scelta di mandar via Allegri per Sarri diventa una scelta coraggiosa nella ricerca del salto di qualità, l’arrivo di un totale esordiente l’anno dopo (la cui idea di calcio era per forza di cose sconosciuta) viene salutato come “Pirlolandia”, quando poi si decide di tornare al punto di partenza nessuno si interroga sul perché di una tale marcia indietro.

Questo atteggiamento di riverenza nei confronti della Vecchia Signora, dettato forse da un senso di sudditanza psicologica, è controproducente e non fa che alimentare il circolo vizioso che attanaglia il club torinese negli ultimi anni: se stai sbagliando praticamente tutto ma nessuno te lo fa notare inizi a pensare di star facendo le scelte giuste, un po’ come i politici che si circondano di yes men. In entrambi i casi non finisce mai bene: si passa dal 40% a meno del 2; da essere premier in pectore ad essere superato dal tuo partner di coalizione; dalla finale di Champions agli ottavi, da nove scudetti di fila al quarto posto ringraziando un gol del Verona; fino ad arrivare a una sconfitta in casa contro un Empoli in totale controllo.

Le critiche sono linfa, spingono sempre a migliorarsi. Ma soprattutto sono doverose per chi fa il mestiere del giornalista. Specie se quest’ultimo è lo stesso che in questi mesi ha raccontato di una società allo sbando, passata dalla vittoria del campionato allo smantellamento della squadra, costretta a cambiare allenatore e a vendere il suo giocatore più rappresentativo. Esattamente la situazione della Juve, non è così? Eppure sembra valere solo per l’Inter.

Sia chiaro, questa non è e non vuole essere una difesa della società nerazzurra; che in un’estate ha dovuto privarsi dell’allenatore che li aveva condotti al trionfo (Conte); dell’attaccante che aveva conquistato la Serie A a suon di gol (Lukaku); e di uno dei migliori terzini in circolazione (Hakimi). Ma spendersi in fiumi di editoriali sul “disastro” Inter e tacere (se non addirittura valutare positivamente) la situazione in casa Juve rivela quantomeno disonestà intellettuale. Anche perchè se c’è una squadra tra le due che è messa peggio, quella è proprio la Juventus.

Perché per la Juventus la situazione è peggiore

A un certo punto di quest’estate l’Inter sembrava destinata allo smantellamento totale: via Conte, via Hakimi, via Lukaku, i prossimi destinati a fare le valigie sembravano Lautaro e Barella. Invece non è partito più nessuno e in compenso sono arrivati Dzeko, Calhanoglu, Correa e Dumfries. Al posto di Conte è arrivato Simone Inzaghi, un allenatore che non può vantare il palmares di Antonio Conte; ma che non è esattamente un debuttante allo sbaraglio come lo era stato Pirlo. Il ridimensionamento della squadra milanese è innegabile, ma è molto più contenuto di quanto ci si aspettava. E in un campionato livellato verso il basso, i nerazzurri restano tra i favoriti per la conquista del titolo.

La Juve invece? Il ritorno di Allegri aveva galvanizzato l’ambiente, ansioso di una normalizzazione dopo due anni di montagne russe. Ai blocchi di partenza prima dell’inizio del calciomercato i bianconeri erano la favorita numero uno per lo scudetto: un tridente Dybala-Chiesa-Ronaldo non ha rivali in Italia, e anche in Europa non ha nulla da invidiare ai reparti offensivi degli altri top club. L’arrivo di Locatelli sembrava aver risolto il problema del centrocampo, il reparto più problematico in questi anni, in costante deficit di qualità. Ma questo ottimismo si è rivelato una pia illusione.

Ronaldo alla fine è andato via, e nel peggiore dei modi: negli ultimissimi giorni di mercato, con il suo agente Jorge Mendes che ha bussato alle porte di mezza Europa per trovare una squadra interessata al suo assistito, pur di portarlo via da Torino. Alla fine l’asso portoghese è volato per Manchester, non sponda City come sembrava a un certo punto; ma per fare ritorno a quello United che l’aveva lanciato nel grande calcio. Una sua cessione a inizio mercato avrebbe dato modo alla società di attuare le contromisure, prendendo un sostituto all’altezza, anche grazie al maggior budget a disposizione.

Forse con i soldi risparmiati dall’ingaggio di CR7 sarebbe stato più semplice dare l’assalto a Donnarumma, che ora fa panchina al PSG e sarebbe servito come il pane viste le prestazioni non esaltanti di Szczesny. Un altro innesto a centrocampo oltre a Locatelli poteva e doveva essere fatto; ma i dirigenti hanno preferito non dare l’assalto finale a Pjanic e Witsel, valutando la squadra competitiva già così. Da non sottovalutare anche l’addio di Demiral, che lascia la coperta corta in difesa; con i soli Chiellini (da impiegare con il contagocce) e Rugani (non il massimo dell’affidabilità difensiva) a far da riserva alla coppia titolare Bonucci-De Ligt. Se questo non è un ridimensionamento, può essere solo qualcosa di peggio. Sarebbe il caso di dirlo chiaramente.