Kün Aguero: “Mio padre dice sempre che gioco male”

Aguero manchester city

(Photo by Buda Mendes/Getty Images)

Tra pallone e live streaming, Aguero si diverte e condivide al mondo le sue passioni. L’argentino si emoziona a parlare del suo passato, e ama condividere il suo mondo: il calcio. Ora è approdato al Barcellona dopo aver fatto la storia al Manchester City. Inizio difficile per Aguero in Blaugrana, dalla crisi del club all’infortunio al polpaccio. Ecco le sue parole a El País:

Che differenza c’è tra l’interazione con il pubblico su Twitch e su un campo di calcio?

È completamente diverso. Nel mondo virtuale cerco di immaginare cosa pensano le persone dall’altra parte dello schermo. Cerco di dirgli delle cose che mi sono successe e che potrebbero interessargli. Inoltre, l’interazione è diretta, mi scrivono direttamente in chat”.

Ti senti a tuo agio nell’esporti alle persone?

“Quello che provi quando fai una live streaming non ha nulla a che vedere con ciò che scrivono nei media, quello cerco di evitarlo. In questo senso, non mi interessa espormi, vero anche che è inevitabile per me che sono una persona pubblica”.

È stato difficile affrontare la mancanza di Maradona? Dato che la tua compagna era sua figlia.

“Volevo evitare di espormi, ma è successo il contrario, ora mi sono abituato. Lei è la figlia di Diego e questo ha avuto ripercussioni anche su di me. Quello che Diego ha fatto è stato immenso”.

Come hai vissuto la morte di Maradona?

“Male, molto male. Quel giorno avevo una partita di Champions League e quando l’ho scoperto ho pensato che fosse una bugia, come tante altre volte. Poi ho visto che lo dicevano sempre più persone ed ho chiesto direttamente alla madre di Benjamin (il figlio che ha con Gianinna Maradona). Ricordo ancora quello che gli chiesi: “È vero o no?”, mi rispose di sì”.

Poi cos’hai fatto?

“Stavo pensando a mio figlio. Ero molto preoccupato per come avrebbe reagito scoprendo la notizia. Quando l’ho sentito lo aveva già saputo da un compagno di scuola. Diego e Benja andavano molto d’accordo. Diego era un fenomeno con mio figlio, e Benjamin lo amava. Ho chiesto a mia sorella di andare a prenderlo da scuola e cercare di distrarlo. Il giorno dopo mi ha scritto che voleva andare a trovarlo. All’inizio non mi piaceva l’idea. Avevo paura che gli sarebbe rimasto un brutto ricordo, ma alla fine l’ho lasciato andare. È andato alla veglia funebre a Casa Rosada con sua madre”.

Hai detto qualcosa il giorno dopo?

“Certo, Benjamin mi ha detto che ha iniziato a piangere. Ho cercato di trattenermi in modo che mio figlio non mi vedesse star male. Sono stati giorni molto difficili, ma almeno Benja ha potuto dire addio a suo nonno”.

Maradona era, all’epoca, il migliore del mondo. Tu ti sei mai sentito tra i migliori?

Ho giocato per quello. Al City ho fatto le cose molto bene in modo che i tifosi e i giornalisti potessero valutarmi come uno dei migliori al mondo, ma so chiaramente che ce ne sono di migliori, non ho problemi ad ammetterlo. A me sta bene così, ero ad alto livello e ho vinto molti titoli”.

La differenza tra te e giocatori come Messi e Ronaldo è tecnica o mentale?

“Calcistica. Quel talento viene dalla nascita. Molte volte ho pensato a cosa mi mancasse, e un giorno l’ho chiesto a Leo. Mi ha detto che per avere la possibilità di vincere il Pallone d’Oro dovevo vincere la Champions League. Ha ragione”.

Anche Cristiano Ronaldo?

“Gioca più avanti di Leo. Quando è in fiducia, come ogni bomber fa gol su gol”.

Hai mai avuto problemi con Guardiola?

“No, non ho mai avuto problemi con lui. Abbiamo dovuto chiarire alcune cose. Gli ultimi tre anni sono stati fantastici. È un allenatore che vuole sempre il massimo, se ha un’idea in testa la realizza. Non gli importa se deve lasciare fuori giocatori che avevano segnato tre gol nelle ultime partite. Per lui il nome del calciatore non ha importanza, a meno che non sia Messi. Ho sempre accettato quando dovevo giocare e quando no. Gabriel Jesús, appena sbarcato a Manchester, ha iniziato a giocare da titolare e non ho detto nulla”.

Ti sei pentito di aver firmato per il Barcellona?

“No, siamo onesti: quale giocatore non vorrebbe essere al Barça? La maggior parte dei calciatori vorrebbe indossare questa maglia, non importa in che situazione sia il Barcellona. Sono arrivato con l’aspettativa di giocare con Messi e che si sarebbe formata una buona squadra, che è quello che il club stava cercando di fare”.

Com’era la tua vita nel quartiere di Los Eucaliptus?

“Lì c’è come un sistema tutto suo, con i suoi fruttivendoli, i suoi macellai, i suoi negozi; c’è tutto. Tutto quello che offre è ad a un prezzo accessibile per la gente del villaggio. Il problema è che è molto difficile emergere. È successo a mio padre: cercava lavoro e molte volte non lo trovava. Lo respingevano quando diceva dove abitava, e questo continua a succedere. Ci sono anche persone “difficili”, ma ci sono anche molti, come i miei genitori, che lavorano sodo, e vogliono solo il meglio per la loro famiglia”. 

Come si emerge da lì? Con un talento come il tuo?

“Devi avere talento e fortuna, tanta fortuna. Devi avere qualcuno che ti aiuti, io avevo mio padre. Conosceva una persona che lavorava all’Independiente, e ogni anno lo assillavo per fare il test. Se non fosse stato per lui, non sarei dove sono ora. Ho parlato con altri ragazzi, come Carlos Tevez, e tutti hanno vissuto una situazione simile”.

Sei riconoscente a tuo padre?

“Certo, ho ringraziato tutti e due, anche mia madre. Poi ho chiesto a mio papà perché mi ha rotto così tanto le scatole. Mi ha sempre detto che ha giocato male. Fino ad oggi. Mi ha risposto che lo ha fatto perché ha capito che avevo tante qualità e che facevo la differenza. Voleva mettermi in testa che amo il calcio. Ogni volta che mi vietava di giocare, mi piaceva ancor di più giocare a pallone, e volevo solo andare ad allenarmi”.