La fine della Germania di Löw

(Photo by Fran Santiago/Getty Images)

Niente resta per sempre. Non per i tedeschi che nella loro storia hanno fatto della continuità un valore. Per informazioni chiedere a Joachim Löw, da 14 anni allenatore della “Die Mannschaft“, la nazionale di calcio della Germania. Una delle più forti, gloriose, vincenti e riconoscibili nazionali del mondo. Ma la storia di Löw sulla panchina tedesca potrebbe essere arrivata al capolinea. Colpa di una sera di novembre e di una Spagna, apparsa, francamente, arrivare da un altro pianeta. Gli spagnoli hanno rifilato sei gol alla Germania nella sfida di Nations League, infliggendo ai tedeschi il peggior risultato, in termini numerici, della loro storia.

I teutonici non incassavano sei gol in una partita dal 1931 contro l’Austria. Una disfatta praticamente senza eguali quella andata in scena a Siviglia, dal punto di vista tecnico, tattico e morale. Joachim Löw in questi 14 anni da allenatore ha avuto il grande merito di tenere la Germania praticamente sempre, ai più alti livelli del calcio planetario. Se si esclude il Mondiale di Russia del 2018, dove i tedeschi furono eliminati ai gironi dalla Corea del Sud e dal Messico, nelle altre competizioni internazionali disputate hanno sempre gareggiato per vincere sino alla fine. A volte riuscendoci come nel Mondiale disputato in Brasile nel 2014 ed altre volte andandoci vicini con un terzo posto e una finale e due semifinale nei tre Europei giocati in questo lasso di tempo.

Appare lapalissiano come la Germania non solo in questi ultimi 14 anni, ma nella storia in generale sia stata una nazionale che ha fatto della continuità tecnica un valore imprescindibile. I tedeschi dal 1926 ad oggi hanno visto avvicendarsi sulla loro panchina soltanto 10 tecnici: Otto Nerz (1926-1936), Sepp Herberger (1936-1964), Helmut Schön (1964-1978), Jupp Derwall (1978-1984), Franz Beckenbauer (1984-1990), Berti Vogts (1990-1998), Erich Ribbeck (1998-2000), Rudi Völler (2000-2004), Jurgen Klinsmann (2004-2006) e Joachim Löw dal 2006 ad oggi.

Fino alla fine degli anni ’90 la Germania ha fatto della prestanza fisica ed atletica dei propri calciatori uno dei suoi maggiori punti di forza. Dopo la disastrosa avventura dell’Europeo portoghese del 2000, i tedeschi hanno riconosciuto i propri errori, compreso che il calcio stesse cambiando e rivoluzionato negli anni a seguire il proprio modo di giocare. Il tutto è partito dalla rifondazione dei settori giovanili delle squadre della Bundesliga. I giovani sono stati formati, in impianti all’avanguardia, prioritariamente sotto il punto di vista tecnico. I risultati ottenuti hanno portato all’esplosione di giocatori del calibro di Toni Kroos, Marco Reus, Ilkay Gündoğan , Mesut  Özil, Julian Draxler, Thomas Müller, Mario Götze,Leon Goretzka, Kai Havertz e Timo Werner. Tutti nomi che hanno reso grande la Germania proprio sotto la gestione di Löw.

I tedeschi ci hanno dunque insegnato come da un fallimento si può e si deve ripartire. La nazionale Under21 della Germania ha tre le proprie fila alcuni tra i giovani più interessanti del panorama mondiale. Basti pensare ad Arne Maier centrocampista centrale classe 1999 in forza all’Arminia Bielefeld. Calciatore elegante, con una tecnica di base fuori dal comune. Il trequartista è Salih Ozcan titolare del Colonia in Bundesliga, per lui i paragoni con Ozil si sprecano da tempo. Florian Wirtz in patria è considerato l’erede di Kai Havertz. Per concludere il più forte di tutti: Lukas Nmecha centravanti classe 1998 in forza ai belgi dell’Anderlecht. Passato dal City di Guardiola, in Belgio sta crescendo alla grande.

La fine della Germania di Joachim Löw potrebbe essere vicina o comunque non molto lontana. I tecnici della nazionale tedesca si sono sempre dimessi o sono stati esonerati dopo delle grandi competizioni internazionali. Nel caso in cui il tecnico dovesse resistere all’ondata di critiche che gli sono piovute addosso dopo la sconfitta con la Spagna, il prossimo europeo potrebbe segnare comunque lo spartiacque decisivo. In ogni caso la Germania continuerà, in nome della continuità e costanza che l’ha contraddistinta negli anni.

Perché infondo Gary Lineker quel giorno di giugno del 1990 aveva ragione: “Il calcio è un gioco semplice: 22 uomini rincorrono un pallone per 90 minuti, e alla fine la Germania vince».