Le radici di Simone Pafundi: “Segnò 78 gol giocando metà campionato”

simone pafundi

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Udinese Academy-Monfalcone, anno 2014, un ragazzino di otto anni inizia a spargere il panico tra i giocatori bianconeri, tutti più grandi di due anni. Ad allenare la formazione bianconera c’era Alberto Pontoni, che rimane folgorato dai guizzi del piccoletto. Ci ha fatto passare le pene dell’inferno”, questo racconta l’allenatore, che non ci pensa due volta a segnalarlo all’Udinese. Quel bambino era Simone Pafundi.

Per capire cosa si nasconde dietro il talentino convocato da Roberto Mancini in Nazionale, abbiamo deciso di andare a Udine per intervistare Alberto, uno dei suoi primi allenatori (qui l’intervista completa), che ha lavorato per ben 13 anni nell’Udinese. Il viaggio tra storie e aneddoti inizia qui.

Simone Pafundi
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78 gol in una stagione…giocando metà campionato

Arrivato a Udine, Simone era davvero piccolissimo, sia sulla carta d’identità che fisicamente. Basti pensare che al primo anno nella quale Alberto l’ha allenato, non poteva manco giocare il campionato, essendo sotto età di ben due anni. Nessun problema per il piccoletto, che tra tornei…e meno di metà campionato realizza 78 gol in una stagione. Simone non poteva giocare il campionato perché non aveva ancora l’età giusta. Era sotto età di un anno, ma noi giocavamo già con la squadra che era un anno sotto le altre, quindi era due anni più piccolo degli avversari. Al compimento degli anni, verso la metà del girone di ritorno, ha cominciato a giocare il campionato. Nonostante non avesse giocato tutte le partite segnò 78 gol“.

“Il Pafu arriva in Serie A?” E Alberto ci scommette una cena

All’Udinese c’era chi non credeva di avere tra le mani un talento così cristallino, tanto che un giorno si organizzò un’amichevole appositamente per vederlo giocare. “Un giorno abbiamo fatto un’amichevole organizzata appositamente per vedere Simone all’opera. Durante la partita si è avvicinato Andrea Carnevale (responsabile dello scouting, ndr) e mi ha detto: ‘Secondo te il Pafu arriva in Serie A?’ Io gli risposi di sì e ci scommisi una cena. Mi rispose: ‘Tanto tu dici che i tuoi giocatori arrivano tutti in Serie A…'”. Scommessa vinta. E la cena? Non me l’ha ancora offerta. Bisogna che lo chiami”, ci risponde divertito Alberto.

Quella volta che Alberto ha dovuto mandare Simone Pafundi a farsi la doccia

Il Pafu era il più piccolo di tutti, ma in campo si faceva sempre rispettare, anche a costo di alzare i toni. Il motivo? Voleva sempre vincere. “Mentre stavamo facendo la partitella finale, Simone, che non voleva mai perdere, vedendo che un suo compagno aveva poca voglia e non stava dando il massimo, ha fatto nascere una discussione e i due sono andati quasi alle mani. Ho dovuto mandarli entrambi a fare la doccia. Capivo Simone, nonostante il suo comportamento non fosse stato giusto. Lui voleva che tutti dessero il massimo. La voglia di vincere gli ha scaturito questa rabbia dentro”. Mentalità.

Quando un avversario ruppe il polso a Simone per fermarlo

Simone Pafundi
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Trasmettere quanto questo ragazzino fosse forte è difficile anche per Alberto, che lo ha visto crescere e segnare caterve di gol davanti ai suoi occhi. A confermarci nuovamente il talento di Simone Pafundi c’è un altro episodio molto particolare, avvenuto in un torneo in Croazia. “Durante la finale di un torneo contro lo Zagabria, un giocatore avversario gli fece un intervento bruttissimo, probabilmente perché vedeva che Simone era troppo forte. Andavano a cercarlo apposta per fermarlo con le cattive. Pafundi si ruppe il polso, era disperato e piangeva, non aveva nemmeno potuto partecipare alla festa per la vittoria. Era superiore a tutti anche se fisicamente più piccolo”.

Simone Pafundi, storie di predestinati

Dopo due anni assieme le strade di Alberto e Simone si separano, ma i due si sentono ancora costantemente. Ci sentiamo. Mi sento tanto anche con suo papà. Sono stati anni indimenticabili e anche loro hanno tanta nostalgia di quei momenti passati assieme”. Un po’ di nostalgia, forse, ce l’ha anche Alberto, che racconta emozionato e con gli occhi pieni di gioia gli attimi passati ad allenare. È un’emozione grande vedere a che livello è arrivato un giocatore che hai avuto per due anni nella tua squadra”. Storie di predestinati, storie vere, storie di chi, con i piedi per terra, prova a prendere il volo.