Napoli-Juventus (Torino), affinità e divergenze storiche e culturali

Napoli e Juventus rappresentate da Maradona e Platini

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Sì, il titolo sembra quello di un libello di analisi socio-culturale, ma non lo è. Parliamo comunque di calcio, di pallone, consapevoli però del contesto. Stasera, Napoli e Juventus si sfidano per il primo trofeo della stagione, la Supercoppa Italiana, ma anche, intrinsecamente, per l’egemonia di una filosofia, di calcio e di vita. Napoli e Juventus, e quindi Torino, da qualunque parte la si guardi, sono quanto di più distante ci possa essere.

A partire proprio dal calcio. Una è la squadra più vincente d’Italia, che ha fatto proprio della vittoria la sua unica ragione di vita, facendo del dominio il proprio stile, più o meno signorilmente. L’altra, al contrario, vive da sempre in altalena, riassumendo la propria cifra storica, non solo sul campo di calcio, in una parola: riscatto. Un sentimento comune a buona parte del Sud Italia, interpretato al meglio dal simbolo della Napoli calcistica: Diego Armando Maradona.

Di certo, la storia ci ha consegnato due delle città più belle d’Italia, che hanno vissuto epoche di splendore accecante e periodi di oblio. I Borbone, nel Settecento, hanno fatto di Napoli la capitale del Regno delle Due Sicilie, e uno dei centri nevralgici dell’economia e della politica del Mediterraneo. Torino, il secolo successivo, è stata il traino della rivoluzione industriale del Nord Italia, ma anche la capitale del Regno di Savoia.

Quando è nata l’Italia, a Napoli e Torino si parlavano lingue diverse, ma la città partenopea non aveva nulla da invidiare a quella sabauda. Non l’avanzamento tecnologico: il primo tratto ferroviario d’Italia è quello, costruito tra il 1889 e il 1890, che collega Pozzuoli a Napoli. Non dal punto di vista architettonico: la Reggia di Caserta non ha proprio nulla da invidiare a Venaria, anzi. E neanche sul piano culturale Napoli ha qualcosa da temere: il Teatro San Carlo e il Teatro Regio, un una ipotetica sfida, se la giocano alla pari.

Gli anni passano, e la distanza, tra due città estranee l’una all’altra, si acuisce. Il secondo dopoguerra porta con sé il boom della migrazione interna, da un Sud ancora agricolo al Nord industrializzato. Ed è qui che si consuma la prima grande cesura. L’Italia, che sulla carta ha più di 80 anni, è tutto fuorché una Nazione, e nemmeno la follia nazionalista del Fascismo ha saputo renderla tale. Le differenze, e quindi le diffidenze, sono ancora tutte lì, pronte ad esplodere in tensioni sociali e politiche. L’integrazione, di cui si fa un gran parlare oggi, senza aver imparato molto dal nostro ieri, è difficilissima.

Torino, in quegli anni, vive sulle spalle dei lavoratori arrivati da tutto il Meridione uno stupefacente boom economico. Napoli, al contrario, perde la locomotiva dell’industrializzazione e della crescita, diventando il fanalino di coda, almeno economico, del Paese. Una disparità che il calcio rappresenta nella sua pienezza, in termini di trofei, campioni e, appunto dominio. Capace di raccontare persino meglio di numeri e dati la distanza – abissale – che si va scavando tra Nord e Sud nel corso dei decenni.

Anni nei quali il sentimento di rivalsa di una città, Napoli, diventa sempre più forte, così come la radicalizzazione delle proprie peculiarità culturali, figlie di una storia gloriosa. Ci vorranno anni perché la riscossa diventi reale, un bagliore lungo appena qualche anno, nella seconda metà degli anni Ottanta. Grazie a un Masaniello dai piedi buoni, Diego Armando Maradona, amato quanto e più di San Gennaro.

Sono gli unici anni in cui Napoli-Juventus è davvero valsa lo scudetto, perché gli azzurri di Vinicio, negli anni Settanta, l’hanno solo sognato, così come, in epoca recente, la squadra di Sarri. Prima e dopo, la Juventus raramente ha abdicato al proprio ruolo di pretendente al trono, con l’alterità e l’eleganza sabauda che le sono proprie. Fondamento di quel famoso “stile Juve” qualche volta tradito, ma molto spesso interpretato appieno. Quasi un dovere, per chi del calcio italiano è la Vecchia Signora, amata e odiata, in maniera trascendentale tanto al Nord quanto al Sud.

Pur nelle differenze, che oggi sembrano persino più profonde di qualche secolo fa. Il neomelodico, in declinazioni sempre nuove e contemporanee, risuona tra i vicoli di Napoli, mentre a Torino il silenzio viene infranto da Subsonica e Linea 77. Due mondi – sì, mondi – distanti, distinti, in eterno scontro. Finalmente, dopo le ben note vicende di ottobre, anche sul campo, in uno stadio vuoto che, perlomeno, ci risparmierà cori beceri e poco edificanti. Lasciando fuori tutto ciò che nulla ha a che fare con il calcio. Ammesso che davvero il calcio possa esistere senza la cornice storica, sociale e culturale in cui vive.