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Il 27 novembre 1964, a Jesi, nasce Roberto Mancini. Talento precoce e numero dieci naturale, esordisce in serie A a 17 anni, con la maglia del Bologna, dove era arrivato neanche quattordicenne. Nonostante i 9 gol del giovane Mancini, i rossoblu retrocedono in Serie B, e nell’estate del 1982 arriva l’offerta della Sampdoria. Il presidente Mantovani è calcisticamente innamorato del fantasista marchigiano, ed offre 4 miliardi di lire più i cartellini di Galdiolo, Roselli, Brondi e Logozzo. Una cifra spaventosa per l’epoca.

A Genova, nasce un legame lungo, ricco di soddisfazioni, quasi indissolubile. Roberto Mancini diventa uno dei fantasisti più forti della sua generazione, leader di una squadra capace di riscrivere, in pochi anni, la propria storia. In maglia blucerchiata arrivano la Coppa delle Coppe del 1990, lo scudetto del 1991 e quattro Coppe Italia. Il ciclo d’oro della Sampdoria è legato al suo numero 10 e al “gemello” Gianluca Vialli. Insieme, sfiorano una clamorosa Coppa dei Campioni nel 1992, quando si arrende, ai supplementari, al Barcellona e al gol di Koeman.

Nell’estate del 1997, dopo 15 anni, Roberto Mancini lascia la Sampdoria e accetta la corte della Lazio di Sergio Cragnotti. A Roma ritrova Sven-Goran Eriksson in panchina, e nelle stagioni successive lo raggiungono altri ex doriani, come Veron, Mihajlović e Lombardo. Nei tre anni in biancoceleste, vive da protagonista un altro ciclo d’oro, culminato con lo scudetto del 2000, dopo un’altra Coppa delle Coppe e una Supercoppa Europea. Per il Mancio, è l’ultimo atto di una carriera straordinaria, con un unico neo: la Nazionale.

Un po’ per la sovrabbondanza di talento di quegli anni, un po’ per il carattere schietto e focoso, ma in un decennio in Azzurro gioca un solo grande torneo: gli Europei del 1988. Si scontra con Azelio Vicini, che gli preferisce Giannini e lo lascia clamorosamente a casa ai Mondiali del 1990. Quattro anni più tardi, nonostante le ottime prestazioni nelle ultime partite di qualificazione, neanche Arrigo Sacchi riesce a trovare un posto per Roberto Mancini. La coesistenza in campo con Roberto Baggio è impossibile, e alla fine perde il ballottaggio con Gianfranco Zola.

Per uno strano scherzo del destino, della Nazionale diventerà protagonista in panchina, dando, alla maglia Azzurra, molto più di quanto non abbia ricevuto. E puntando, come non hanno fatto in molti con lui, sul talento e sulla fantasia, specie dei più giovani. Roberto Mancini diventa ct nel 2018, dopo che l’Italia ha toccato il punto più basso della sua storia calcistica, ma la sua avventura in panchina era iniziata appena appesi gli scarpini al chiodo.

Nel 2000 è già il vice della Lazio, e l’anno successivo, con una deroga ai regolamenti, siede sulla panchina della Fiorentina, con cui vince la Coppa Italia. Torna alla Lazio, per due stagioni, conquistando un’altra coppa nazionale, prima di fare il salto all’Inter. Con i nerazzurri vince tre scudetti, ma nel 2008 arriva l’esonero, e dopo un anno di inattività vola in Premier, al Manchester City, che sta gettando le basi per diventare la corazzata che è oggi. In quattro stagioni alla guida dei citizens conquista una FA Cup, una Premier e un Charity Shield, trofei che mancavano da quasi 40 anni. Dopo un anno in Turchia, sulla panchina del Galatasaray, torna per due stagioni all’Inter, quindi vola in Russia, allo Zenit San Pietroburgo, prima di accettare l’incarico di Commissario Tecnico della Nazionale Italiana.