Non ci resta che questa benedetta “coppetta”: aggrappati all’Europa League

benedetta coppetta

(Photo by Ina Fassbender/Pool via Getty Images)

Snob, ma allo stesso tempo piccole. Bisognose di tornare alla ribalta, eppure con la puzza sotto il naso. Le italiane in Europa sono come pesciolini rossi travestiti da piranha: hai voglia a metterti la dentiera coi denti aguzzi, se non hai l’animo di un cacciatore, la preda ti sfugge. E non è solo una questione di denti, conta tanto anche la testa, il saper scegliere il giusto habitat: un pesciolino rosso messo in una vasca di piccoli insetti può diventare uno squalo, ma allo stesso tempo un piranha in una vasca di squali si sente un piccolo pesce rosso. Bisogna saper riconoscere la propria dimensione, misurare la propria grandezza. E la dimensione delle italiane, in questo periodo storico, consiglia di puntare sull’Europa League. Lo dicono i numeri, lo dice la storia recente, ma non lo dicono ancora le italiane stesse. Rassegniamoci: non ci resta che questa benedetta “coppetta”.

La coppetta dal collo lungo

I sogni europei delle italiane hanno le orecchie piccole ed il collo lungo. Fuori dai quarti di Champions League ancora una volta, Milan e Roma sono le uniche speranze rimaste per un posto al sole in Europa, dove non esistono, o meglio, non devono esistere competizioni di Serie A e competizioni di Serie B: una coppa europea è una coppa europea, il lustro, l’onore, la gloria sarà lo stesso. Eppure non è stato così negli ultimi anni: per troppo tempo questa Europa League è stata bistrattata dalle italiane, sottovalutata, non presa in considerazione. Tanto sforzo per entrarci per poi giocarla con le seconde linee. Perché? Perché per arrivare ad introiti economici all’altezza anche solo dei gironi di Champions League, quest’Europa League bisogna quasi vincerla o comunque arrivare fino in fondo. Ok, vero, ma per arrivare in cima ad una torre bisogna salire un gradino alla volta: vincere aiuta a vincere e giocare, sul serio, in campo europeo ti rafforza le spalle e fa crescere denti aguzzi, quelli dei piranha.

Questione di mentalità, questione di ricordi. Perché poi, quando questa benedetta “coppetta” l’abbiamo vinta, le sensazioni, le emozioni, le lacrime di gioia non sono state da competizione di seconda categoria. Per conferma chiedere al Napoli di Maradona, all’Inter di Ronaldo, al Parma di Crespo ed alla Juventus di Roberto Baggio e Gianluca Vialli, squadre entrate di diritto nella storia del grande calcio anche e soprattutto grazie alla vittoria della vecchia Coppa Uefa. Vogliamo cambiare la nostra visione di una competizione semplicemente perché adesso si chiama in un altro modo?

La speranza è possibilità

Se speranza c’è, o meglio, se le italiane vogliono veramente puntare a questa benedetta coppetta, allora c’è possibilità. Insomma, volere è potere. Sì, perché ci sono pesci grossi in questi vasca, ma le italiane sono all’altezza, devono essere all’altezza. La Roma è già con un piede e mezzo ai quarti ed il Milan ha una finale anticipata contro il Manchester United, il pesce più grosso della vasca. La prima sfida è andata bene: l’1-1 dell’Old Trafford dimostra che le italiane, se vogliono, qualche dente aguzzo lo possono tirare fuori e, perché no, possono anche mordere. L’Inter lo scorso anno è arrivato a tanto così dal mordere la preda: riassaporare il sangue europeo sarebbe stato una manna dal cielo per il calcio italiano e quest’anno possiamo riprovarci. Ce la giochiamo con le inglesi: prima il Milan con il Manchester United, poi, sperando di avere sia rossoneri che Roma ai quarti, le avversarie più insidiose resterebbero il Tottenham di Mourinho e l’Arsenal di Arteta, oltre all’Ajax. Squali grandi, ma le italiane in questa vasca non sono da meno.

Fuori i denti: si va a caccia. Per diventare squali, prima bisogna imparare a nuotare.