Cristiano Ronaldo e Pirlo, senza di voi la Juve è (quasi) perduta

Cristiano Ronaldo

(Photo by Marco Luzzani/Getty Images)

La Juventus, nella sua lunga e gloriosa storia, ha saputo reinventarsi e ricostruirsi più e più volte. In epoca recente, ha sopravvissuto all’onta della Serie B, ricostruendo dal basso i trionfi dell’ultima decade. Ha superato l’addio di Zinedine Zidane nel 2001 uscendone più forte, e di certo in pochi avrebbero immaginato di ritrovare i bianconeri lassù così in fretta, dopo il ritorno in Serie A nel 2007. In mezzo ad ogni rivoluzione, com’è normale che sia, c’è sempre un periodo di transizione, nel quale si può anche non vincere. Concetto durissimo da accettare per chi ha adottato come motto una celebre frase di Giampiero Boniperti, pezzo di storia fondamentale bianconera: “Vincere non è importante, ma è l’unica cosa che conta”. Parole che, a voltarsi indietro, raccontano alla perfezione la storia di Cristiano Ronaldo.

Una macchina perfetta, un atleta meraviglioso, un calciatore dalle statistiche impressionanti ed al quale è impossibile trovare un difetto. Al suo terzo anno in bianconero, ha dimostrato numeri, umiltà, capacità di caricarsi la squadra sulle spalle. Cosa che, nelle ultime partite, non è stato in grado di fare. E se fino a ieri sera la Juventus era stata capace di trovare in campo soluzioni alternative, contro l’Inter avrebbe avuto un disperato bisogno del Cristiano Ronaldo migliore. Di cui, a San Siro, non c’è stata traccia.

Il portoghese, però, non gioca da solo, e Pirlo lo sa bene. Intorno ha una squadra ancora alla ricerca della via smarrita. La via, per intendersi, che ha percorso per cinque anni seguendo Massimiliano Allegri, immolato sull’altare del bel calcio. Un principio tanto soggettivo quanto astratto, declinato per una sola stagione da Maurizio Sarri. Che, dopo gli anni spettacolari di Napoli e qualche accenno di “Sarriball” al Chelsea, non ha lasciato alcuna impronta. Ma, quantomeno, ha lasciato in bacheca uno scudetto, il minimo sindacale, nella Juventus degli ultimi anni.

Una chimera, in quella di oggi. L’Inter è fuggita a +7, gli stessi punti del Milan, che deve giocare stasera e potrebbe volare a +10. Dietro, la bagarre è di quelle pericolosissime. Con 33 punti – e una partita da recuperare, ma contro un Napoli che in questo momento ha da temere solo se stesso – venire risucchiati nella corsa per l’Europa è un pericolo assolutamente da tenere in considerazione. A una sola partita dal giro di boa lo scenario è tutt’altro che roseo. Anzi, il cielo su Torino è più plumbeo del solito. Ieri Pirlo ha ricevuto una durissima lezione da Antonio Conte, che dietro alle lamentele pubbliche sa bene il potenziale della sua Inter. E, soprattutto, ha trovato da tempo la quadratura del cerchio.

Mettendo da parte l’interpretazione dei singoli, il 3-5-2 contiano è una solida realtà. Tutti sanno esattamente cosa devono, che poi ci riescano o meno è un altro conto. Sotto il cielo bianconero, quasi naturalmente grigio, di certezze ce ne sono ben poche. A partire dalla difesa, con l’assetto variabile, ma di partenza a tre, che senza De Ligt è in balia degli eventi. A centrocampo regna il dubbio. Di Arthur, il più tecnico dei centrocampisti bianconeri, non c’è quasi traccia, il gioco passa più che altro sulle fasce, reparto in cui la qualità sovrabbonda, mentre in mezzo la quadra ancora non c’è.

Il cerchio si chiude esattamente dove l’avevano aperto, ossia davanti, nella solitudine del campione. Ma Cristiano Ronaldo non può essere il problema. Un anno fa con Dybala si trovava a meraviglia, tanto che la Joya chiuse la stagione come miglior giocatore della Serie A. Quest’anno, la sinergia con Morata è arrivata subito, un’empatia che ha fatto dello spagnolo una pedina imprescindibile della Juventus, permettendo qualche volta a Cristiano Ronaldo di rifiatare. E allora, cosa manca? Forse, il coraggio di cambiare davvero, di rinunciare a qualcosa, a qualche pezzo della macchina per ricostruirne una, effettivamente, a immagine e somiglianza del suo tecnico. Ammesso che Pirlo, accolto come un maestro, sia davvero in grado di dimostrarsi all’altezza della sfida. Allenare il club più vincente d’Italia non è mai banale, ma trovarsi a metà stagione, da Campioni in carica, potenzialmente a dieci punti dalla vetta, non è certo un buon viatico.