Serie A: l’indice di liquidità e un calciomercato povero

Il calciomercato di questa estate, che porta con sé ancora gli strascichi e i problemi finanziari derivanti dal Covid-19, ha già portato colpi interessanti sia a parametro zero che trattative con cifre spaventose. Un discorso che però non si può fare per la Serie A, il cui acquisto più costoso al momento è stato il riscatto da parte del Milan per Tomori alla cifra di 28 milioni di euro. E se le altre big non se la passano bene, allora occorre parlare di vero e proprio harakiri da parte della Lega Calcio. La proprietà interista è stata frenata dalle restrizioni imposte dal governo cinese e la Juventus ha dovuto iniettare 400 milioni da Exor per sanare quasi del tutto i debiti, ci sono squadre che non riescono a fare nessun movimento perché bloccati dall’indice di liquidità.

Che cos’è l’indice di liquidità?

L’indicatore di liquidità è stato introdotto nel mondo del calcio dalla FIGC nel 2015. L’idea è che le squadre debbano dimostrare di poter tirare avanti da sole, senza dover chiedere aiuti: ogni anno viene fissato il limite minimo dell’indicatore, salito nel corso degli anni, e per questa stagione è stato fissato a 0,8, abbassato a 0,6 per il solo mercato estivo a causa degli effetti economici della pandemia. Si tratta, come scritto dalla Gazzetta dello Sport, del rapporto tra Attività Correnti (AC) e Passività Correnti (PC), quindi AC/PC. Un coefficiente che valuta la capacità finanziaria di un club di pagare i debiti con i suoi creditori.

Quali sono le squadre che non rientrano nei parametri dell’indice di liquidità?

La Sampdoria, fino ad ora, ha agito solo attraverso prestiti e anche per il nuovo allenatore, D’Aversa, si è scelta la strada più low-cost. Anche la Lazio soffre per un indice di liquidità che la obbliga a dover finalizzare delle cessioni prima di depositare i contratti dei 4 nuovi innesti in Lega.

Una situazione causata dalle decisioni di alcun club di Serie A

Ieri abbiamo parlato dell’accordo raggiunto tra il campionato spagnolo e il fondo di investimenti, CVC, per la cessione del 10% delle azioni de La Liga per una cifra di 2.700 milioni di euro di cui il 90% investito e spartito tra i vari club spagnoli. Ecco, proprio questo progetto era stato presentato dal Presidente Dal Pino a tutti i club della Lega Serie A, ma purtroppo l’accordo non si è concluso per l’opposizione di sette società, sia grandi che piccole, preoccupate più per i loro tornaconti che per il ben collettivo.

In una situazione di crisi, oggi, i club di Serie A chiedono aiuti economici al governo, chiedono la riapertura totale degli stadi per tornare a ricevere degli utili, eppure quei soldi che servivano per far ripartire il calcio italiano erano lì, a portata di mano.

L’Europeo vinto, battendo anche quella Spagna che da ieri ci ha insegnato come far crescere il brand e rendere ancora più attrattivo il campionato spagnolo con investimenti imponenti, non può essere un punto di partenza. Serve programmazione, servono idee e progetti che coinvolgano tutti i club italiani dalla Serie A ai campionati dilettanti altrimenti dovremmo aspettare la prossima miracolosa generazione talentuosa per tornare a vincere e nel mentre vederci sfilare da sotto il naso i più grandi calciatori che militano nel campionato italiano.

La vittoria degli azzurri deve essere un punto di partenza per lavorare sognando ad una centralità del calcio italiano come lo era negli anni ’90 fino ai primi anni del 2000. Altrimenti un Ronaldo o un Cristiano Ronaldo non li vedremo per tanto tempo.