Sogno di una notte di mezzo inverno: la prima domenica di vera libertà

(Photo credit should read JUSTIN TALLIS/AFP via Getty Images)

É domenica e siete appena svegli, vi tirate su dal letto con quella strana amnesia che non vi permette di ricordare nemmeno cosa avete mangiato la sera prima, poi un lampo vi attraversa i pensieri: oggi è il giorno. Oggi.

La pandemia è alle spalle, finalmente le autorità sanitarie e politiche proprio nel corso dell’ultima settimana hanno deciso che è finita l’epoca delle regioni colorate, delle mascherine e del distanziamento sociale, dell’impossibilità di muoversi liberamente e della paura di stringere la mano a un amico, vecchio o nuovo che sia.

Da oggi, da questa domenica, potete tornare a fare colazione al bar, sfogliando il quotidiano messo a disposizione dei clienti che prima di voi hanno toccato decine di persone, senza avere paura che possa essere contagioso, senza avere la premura di igienizzarvi le mani dopo averlo fatto.

Da oggi potete tornare a passare le vostre giornate in piena libertà (?) al centro commerciale con le vostre famiglie, o semplicemente potrete decidere seduta stante di andare a pranzo al ristorante, chiamando il vostro amico ristoratore che anche se non ha posto disponibile, siete sicuri, un angolino per voi all’interno del suo locale, lo troverà di sicuro. 

E farà niente se si starà un poco stretti, anzi. Sarà quasi piacevole.

Potreste fare queste e tante altre cose in questa domenica, ma non oggi. Non in questa.

La vostra squadra del cuore gioca in casa, avete comprato i biglietti per andare ad assistere alla partita esattamente un minuto dopo che l’annuncio della fine definitiva della pandemia è stato diramato e da quel momento in poi la vostra settimana è stata caratterizzata da un solo pensiero: la partita.

Vi parlavano in ufficio, ma a volte eravate assenti: la vostra mente viaggiava già in avanti e si proiettava alla domenica più bella della vostra vita, probabilmente, con buona pace di eventuali battesimi, matrimoni, cresime e via discorrendo.

La squadra del cuore è la squadra del cuore, è giusto che tutti lo sappiano e, nel vostro caso, è un concetto che probabilmente è giusto da ribadire.

Ci siamo, la mattinata è lenta. Siete andati al bar, avete fatto la vostra colazione e avete toccato il quotidiano messo a disposizione dei clienti, sfogliandolo distrattamente, mentre eravate attenti a non insozzare i vostri vestiti col cappuccino che incautamente avevate fatto colare dalla tazza.

Siete passati nella piazza del paese ed avete stretto la mano a tutti, anche agli amici nuovi, anche a chi prima forse non vi stava tanto simpatico e di cui evitavate anche lo sguardo se ne aveste avuto la possibilità.

Avete abbracciato un paio di amici che si erano svegliati quasi nel vostro stesso momento di quella domenica mattina, che avevano fatto colazione proprio come voi al bar e che erano andati in piazza proprio nella speranza di poter riabbracciare qualche amico. E di stringere anche la mano a chi prima non gli stava tanto simpatico e di cui evitava volentieri anche lo sguardo.

Qualche chiacchiera, la loro invidia nei vostri confronti. La vostra prontezza nell’acquistare il tagliando per la partita non era stata imitata da loro, e in pochi minuti i biglietti erano tutti già esauriti, lasciando i vostri amici a bocca asciutta, costretti a guardare la partita seduti sul loro divano a differenza vostra.

La differenza vostra, quella passione sconfinata mista a dedizione per i colori della vostra squadra del cuore che vi ha portato ad accendere il pc sull’homepage del rivenditore ufficiale dei tagliandi per le partite della vostra squadra del cuore già da molto prima della conferenza stampa del capo del Governo che annunciava la fine definitiva della pandemia, che avrebbe liberato tutto e tutti per davvero e che avrebbe portato voi e quelli come voi, finalmente allo stadio. Altro che divano. Altroché.

Ci siamo. Ci siamo per davvero: avete lasciato la vostra macchina nel solito parcheggio nelle vicinanze dello stadio, da cui però lo stadio non lo vedete ancora. É il posto migliore per lasciarvi la macchina: facile da raggiungere all’andata evitando un bel po’ di traffico, pratico per il ritorno, perché da lì imboccherete la strada di casa più facilmente degli altri che invece dovranno riaffrontare lo stesso traffico, prima di poter rincasare.

Vi incamminate, fate un giro un po’ più largo, il cuore vi batte forte tanto che lo sentite pulsare addirittura nelle vostre orecchie. 

Dovete gustarvi il momento, intorno a voi tifosi comuni si affrettano a infilare il proprio varco per accomodarsi al proprio posto, ben segnalato da una stampa nera un po’ scolorita sulla facciata del biglietto. Voi no. State facendo il giro largo.

Il giro che vi permetterà di lì a poco di scorgere lo stadio della vostra squadra del cuore in tutta la sua grandezza, che vi riporterà indietro nel tempo a quando, da piccoli, ci venivate con vostro padre che vi stringeva la mano forte, più forte del solito, perché prima di uscire di casa la mamma si era premurata con lui di stare attenti. Più del solito, perché si andava allo stadio che per voi era il posto più bello del mondo, e che lo era anche per lei, ma era pur sempre lo stadio e, come si dice dalle vostre parti “nun se pò mai sapé”.

Un ultimo caffè al bar nei pressi dello stadio, quattro chiacchiere veloci con il barista che vi conosce da sempre, da quando vostro padre entrava lì con voi prima della partita stringendovi la mano forte, più forte del solito e prendeva il suo caffè, mentre voi fremevate al pensiero di tornare a guardare la partita a due passi dal rettangolo verde.

Ci siamo, stavolta per davvero.

Il profumo nell’aria di questa domenica è pungente, un misto tra fumo, birra, caffè, cibo e umori, un po’ come quando attraversate le stradine del centro storico, svoltate l’angolo e lo stadio è lì, in tutta la sua bellezza, e non vi è mai sembrato così bello. Così imponente. Così stadio.

Vi godete ogni singolo passo che da lì vi porterà a salire le scale che vi porteranno al vostro posto, in quel settore che se anche negli anni ha subito qualche modifica strutturale, vi ricorda ancora di quando chiedevate a chi stava davanti a voi di spostarsi un po’ perché eravate troppo bassi e non riuscivate a vedere bene cosa succedesse in campo.

Lo speaker dello stadio sta annunciando la formazione: ma com’è possibile che non giochi lui, proprio oggi? Ma il mister è pazzo? Perché si ostina a giocare con questo modulo? Ma… ma chi se ne frega!

Squadre schierate. Stadio esaurito.

Calcio d’inizio. Un nuovo inizio.