Calcio e Letteratura: Cinque poesie sul gioco del calcio

C’è chi vive il calcio come una metafora della vita, cioè come qualcosa che ti forma e ti insegna i valori della vittoria e della sconfitta e ad affrontarle nel modo giusto. C’è chi lo vive come un coacervo di sensazioni depositate nella testa e nell’anima e lo rende il metronomo del proprio umore: se la squadra del cuore vince, sarà felice; se perde, sarà triste. C’è anche chi non è affatto interessato alle vicende calcistiche e se ne distanzia in modo naturale: non è qualcosa che ne attira l’attenzione, che ne turba le giornate.

Umberto Saba apparteneva alla seconda casistica. Nato a Trieste nel 1883, si può definire il poeta del quotidiano della nostra letteratura. Negli anni dell’adolescenza di Saba, a cavallo tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, il calcio in Italia era approdato da pochi decenni con tornei improvvisati; il primo vero campionato si disputò nel 1898 in una sola giornata con quattro formazioni partecipanti: FC Torinese, Genoa, Internazionale e Società Ginnastica Torino.

In questo panorama si inserisce il totale disinteresse di Saba per il calcio. Lui, titolare di una libreria, era completamente immune alle seduzioni di questo sport nuovo per il panorama italiano. Il caso volle che nel 1933 gli vennero regalati dei biglietti per assistere alla partita Triestina-Ambrosiana, come allora si chiamava l’Inter non potendo assumere questa denominazione per via dell’Internazionale Comunista. Per lui fu un autentico salto in un mondo sconosciuto e distante. Quella partita finì 0-0, con un errore dal dischetto di Giuseppe Meazza.

L’incontro – fortuito – tra Saba e il calcio diede vita alle Cinque poesie per il gioco del calcio, composte tra il 1933 e il 1934 e raccolte nel terzo volume del Canzoniere, all’interno della sezione Parole. Proprio a quel pareggio a reti inviolate è dedicato il componimento dal titolo Tre momenti.

Il portiere su e giù cammina come sentinella. Il pericolo lontano è ancora. Ma se in un nembo s’avvicina, oh allora una giovane fiera si accovaccia e all’erta spia.

Festa è nell’aria, festa in ogni via. Se per poco, che importa? Nessun’offesa varcava la porta, s’incrociavano grida ch’eran razzi. La vostra gloria, undici ragazzi, come un fiume d’amore orna Trieste.

In queste strofe, le ultime due della poesia, è chiaro il riferimento al comportamento del portiere, che osserva il gioco camminando su e giù ed è pronto, all’arrivo di un’azione pericolosa, a entrare in azione. Il paragone alla fiera accovacciata rende esattamente l’idea dello stato di tensione perenne che accompagna ogni estremo difensore.
Sembra quasi un’anticipazione di quello che sarà, sessant’anni dopo, Jorge Chiqui Campos, il portiere messicano che nei Mondiali di USA ’94 si puntò i riflettori addosso per il suo bizzarro modo di stare tra i pali.
Una menzione, infine, è anche riservata al risultato finale, che ha lasciato le due porte con “nessun’offesa” a varcarle, e al contesto del tifo e del legame della Triestina con la città di Trieste.

L’incantesimo, insomma, era nato: Umberto Saba si era avvicinato al mondo del calcio e del tifo in modo impensabile persino per lui stesso, come scrive in Squadra paesana:

Anch’io tra i molti vi saluto, rosso-alabardati,
sputati
dalla terra natia, da tutto un popolo
amati.
Trepido seguo il vostro gioco.
Ignari
esprimete con quello antiche cose
meravigliose
sopra il verde tappeto, all’aria, ai chiari
soli d’inverno.

Qui i destinatari sono direttamente i calciatori, idoli della piazza e da cui anche lui, “il poeta”, si sentiva in qualche modo attratto. “Trepido” ne seguiva le gesta, ma li amava, come aggiunge nell’ultima strofa, “dagli altri diversamente – ugualmente commosso”.

È evidente il forte coinvolgimento dei tifosi nelle vicende della squadra, il forte filo conduttore che li lega. È ciò che nel calcio moderno possiamo ricondurre, tra moltissimi altri esempi, all’episodio della finale della Coppa di Francia del 2014 tra Rennes e Guingamp. Da una parte c’erano gli attrezzatissimi rossoneri della grande città industriale di Rennes, dall’altra i modesti rossoneri della piccola città agricola di Guingamp, dando vita a un sentitissimo derby bretone. La gara si giocava a Parigi e i tifosi della piccola squadra Costarmoricainne viaggiarono dalla Bretagna alla capitale in trattore.

Come se non fosse già qualcosa di incredibile così, quella finale la portò a casa proprio il Guingamp con un netto 2-0.

Ai tifosi è dedicata Tredicesima partita, poesia nata da un episodio vissuto da Saba e sua figlia. Si trovavano a Padova ad assistere a quella che probabilmente fu Padova-Alessandria, la tredicesima giornata della Serie A 1932-33. Oltre al titolo, lo suggeriscono i versi “Correvano su e giù le maglie rosse, / le maglie bianche, in una luce d’una / strana iridata trasparenza”. Le “maglie rosse” sono ovviamente quelle della squadra patavina, mentre le “maglie bianche” indicano la tenuta da trasferta della compagine piemontese. In quell’occasione i tifosi di casa notarono il diverso accento del poeta e di sua figlia, ma capirono che stavano facendo il tifo per la squadra veneta e regalarono, allora, un mazzo di fiori alla ragazza.

Saba rende i sostenitori patavini i protagonisti di questa poesia, ponendo il senso di appartenenza come fulcro del componimento.

Piaceva
essere così pochi intirizziti
uniti,
come ultimi uomini su un monte,
a guardare di là l’ultima gara.

Un episodio recente che ben si lascia descrivere da queste parole è accaduto il 31 luglio scorso, in occasione dell’ultima giornata di Serie B tra Virtus Entella e Cittadella. Come ben sappiamo, le misure anti-covid19 hanno imposto la chiusura degli stadi, ma sei coraggiosi sostenitori della squadra ligure hanno affittato tre gru da cui si sono issati per assistere alla gara. L’aderenza di questo episodio ai versi di Saba è sorprendente: i sei tifosi sospesi nel vuoto sono come i “pochi intirizziti” di cui parla il poeta, che si sono ritrovati per la giornata conclusiva del campionato, “l’ultima gara”.

Una tematica che non può mancare nella celebrazione del calcio è quella della passione che matura fin dalla tenera età. Per questo scrive Fanciulli allo stadio, interamente focalizzata sui piccoli tifosi che sventolano le bandiere e urlano i nomi dei loro idoli.

Galletto
è alla voce il fanciullo; estrosi amori
con quella, e crucci, acutamente incide.
Ai confini del campo una bandiera
sventola solitaria su un muretto.
Su quello alzati, nei riposi, a gara
cari nomi lanciavano i fanciulli,
ad uno ad uno, come frecce.


L’ultima poesia è dedicata al momento più iconico del calcio: il gol, che dà anche il titolo al componimento. Qui Saba mette in parole ciò che la televisione mostrerà decenni più tardi. Intrecciando il gol con la vittoria, il focus è costruito come un climax che parte dalla squadra sconfitta, passa per i tifosi della compagine che ha vinto e si conclude con i festeggiamenti della formazione vincente. La scelta davvero particolare del poeta è di concentrarsi sui due portieri e non sull’intero gruppo: il portiere è un uomo solo e Saba lo scriveva già negli anni Trenta.

Il portiere caduto alla difesa
ultima vana, contro terra cela
la faccia, a non vedere l’amara luce.
Il compagno in ginocchio che l’induce,
con parole e con la mano, a sollevarsi,
scopre pieni di lacrime i suoi occhi.

Si parte con il portiere sconfitto, quello che era l’ultimo baluardo della sua squadra e non è riuscito a respingere i palloni fatali degli avversari. Leggendo questi versi non può non venire in mente l’episodio della finale di Champions League 2018 tra Real Madrid e Liverpool e il disperato pianto di Loris Karius. Il portiere dei Reds si era reso protagonista di due svarioni costati la sconfitta della formazione inglese. A fine partita, persa per 3-1, Karius chiede scusa ai tifosi in lacrime e singhiozzi: il biondo portiere 24enne si disfa come neve al sole al cospetto di un senso di colpa più grande di lui.

A fare da contrasto a questa strofa, che apre la poesia, è l’ultima, che chiude la scena focalizzandosi sull’altro portiere, quello della squadra che ha vinto:

Presso la rete inviolata il portiere
– l’altro – è rimasto. Ma non la sua anima,
con la persona vi è rimasta sola.
La sua gioia si fa una capriola,
si fa baci che manda di lontano.
Della festa – egli dice – anch’io son parte.

La solitudine della festa dell’estremo difensore è scissa nella sua collocazione fisica, vicino alla sua porta e lontano dai suoi compagni, e nella sua gioia, che virtualmente si unisce al resto della squadra. Di queste immagini nel nostro calcio ne abbiamo a decine: c’è solo da scegliere il portiere più solo tra i portieri soli.