Calcio e… Musica: Firenze, canzone triste triste triste per Chiesa

Federico Chiesa

(Photo by Gabriele Maltinti/Getty Images)

Il popolo viola canta una canzone triste. Arrabbiata, malinconica. Un po’ invidiosa. Ancora una volta. Dopo Baggio, dopo Bernardeschi. Storia che ritorna, che si ripete. Ora tocca a un altro Federico, quel Chiesa diventato presto simbolo della città. Una città innamorata della sua stessa bellezza artistica, romantica nella sua eterea sospensione. Affascinata dal bello, da secoli a questa parte. Città campanilistica, che spesso contrappone il noi al voi. O sei dei nostri o ci tradisci. Storia che si tramanda da secoli, provateci voi a cambiarla. Chiesa sembrava poter diventare finalmente l’uomo capace di incarnare tutto questo, il ragazzo investito da quella fascia da capitano pesante, pesantissima. DA, basta la sigla. Niente da fare: Firenze si riscopre ancora una volta bella e nostalgica, romantica e istintiva, innamorata e tradita.

“Firenze lo sai, non è servito a cambiarl(a)o. La cosa che ha amato di più è stata l’aria”. Sì, l’aria. Nell’aria di Firenze c’è tutto: il fiume che si mischia al vino, il marmo che si riscalda e si raffredda a seconda delle stagioni. Quando si scalda si scalda per davvero, quando si raffredda si raffredda per davvero. Due estremi, due opposti. Come l’anima fiorentina. Come canta Ivan Graziani, Chiesa si è innamorato dell’aria di Firenze ma forse solo di quella: la maglia viola è sempre stata un passaggio, la Juve l’obiettivo sempre inseguito. “Lui (lei) ha disegnato, ha riempito cartelle di sogni. Ma gli occhi di marmo del Colosso Toscano guardano troppo lontano”. Ha disegnato Federico, eccome se ha disegnato. Ma i suoi occhi erano da un’altra parte.

Spenti come quelli di un qualunque tifoso viola che, come lo studente universitario che parla in “Firenze” di Graziani, racconta un amore scappato via nel capoluogo toscano. “Ma io che farò in questa città? Fottuto di malinconia e di lui (lei). Per questo canto una canzone triste triste triste, triste triste, triste come me”. Ancora una volta. La ferita si apre sempre di più. Il Codino, Berna e ora Chicco. Lacerazione. Che ogni volta fa sempre più male. Chiesa a Firenze non esiste più. “E non c’è più nessuno che mi parli ancora un po’ di lui (lei), ancora un po’ di lui (lei)”. Ma Firenze è bella per questo. Per il suo essere splendida e tradita. Ma capace sempre di rialzarsi e di innamorarsi ancora. Anche se fa male.