Calcio e Musica: The show must go on

Cinquantaquattro giorni dopo la conquista di Euro2020 in un Wembley mai così azzurro, la nazionale italiana torna finalmente in campo, contro la Bosnia, nel match valido per la nuova edizione della Nations League. Un sogno non diventato realtà, purtroppo. Non per demeriti degli azzurri questa volta, ma per l’invasione di un fattore esterno, imprevedibile, che in economia viene definito schock simmetrico, perché colpisce indifferentemente il mondo intero.

Il covid-19 ci ha dimostrato quanto sia facile distruggere i castelli idealizzati nella nostra testa per progettare il futuro e quelli già realizzati per vivere il presente. Oltre due mesi in cui il nostro bel Paese, immobilizzato, si è riscoperto unito, proprio come quando gioca la Nazionale. Tuttavia, la posta in palio era ben più alta di un Mondiale o di un Europeo: l’Italia (ed il resto del mondo) si è giocata la sopravvivenza, demografica ed economica, e l’ha fatto a viso aperto, con la paura immensa di perdere, ma con la voglia di superare anche questo ostacolo.

Inside my heart is breaking“, cantava Freddie Mercury qualche mese prima della sua morte nel famoso ritornello di un brano scritto dai componenti dei Queen – Brian May su tutti – per omaggiare il loro frontman, consumato dall’AIDS, ma dedito con le ultime, poche forze rimaste a fare ciò che meglio gli è riuscito nella sua vita: cantare. E non è un caso che “The Show Must Go On” sia – dopo Bohemian Rhapsody e We Are The Champions – il brano più amato, più conosciuto e più urlato della band inglese. E’ un inno alla vita, seppur parli di morte. In molti l’hanno definito come il testamento di Freddie: in realtà è un manuale di sopravvivenza, applicabile in qualsiasi campo.

Correva l’anno 2017, precisamente un Novembre, mai così atteso. La nazionale italiana si trovava davanti una prova tutt’altro che insormontabile e sempre superata – abilmente – dagli azzurri: la qualificazione al Campionato del Mondo. Tra i nostri e la Russia, che ospitava il torneo nella successiva estate, c’era la modesta Svezia. Una formalità, per molti, e tale doveva essere.

Intorno alla squadra, nel famoso “ambiente”, c’era però maretta, con il mister Ventura (o Sventura) scaricato dalla stampa, dalla federazione, dallo staff, dalla squadra e dai tifosi per delle scelte poco condivisibili. Risultato: la Svezia ci batte in casa e strappa un clamoroso pareggio a San Siro, lasciando noi tifosi a guardare il Mondiale (per chi ci è riuscito) senza una squadra da tifare, senza la gioia di indossare la maglia dell’Italia davanti alla tv, pronti ad abbracciarsi forte e a volersi tanto bene. Una catastrofe irrisolvibile, irrecuperabile: la fine del calcio italiano. Niente di più vero. Se non fosse che ogni fine corrisponde ad un nuovo inizio, solo se lo si vuole. E allora con facce nuove, con un nuovo CT, con la voglia di rivalsa e con il giusto mix di giocatori di esperienza, talento e voglia di dimostrare, si è ripartiti.

Allo stesso modo, dopo una primavera passata a cucinare, suonare, studiare, vivere, ma solo in casa, l’Italia è ripartita. Con il cuore rotto, il trucco sciolto, ma con il sorriso, ancora, stampato in faccia, perché, nonostante tutto, lo show deve andare avanti. Ripartire, insieme, si può!