Calcio e Storia: La Jugoslavia mai vista di Euro 92

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La Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia è una strana bestia. Un’entità composita, divisa in otto repubbliche: Bosnia ed Erzegovina, Croazia, Macedonia, Montenegro, Serbia, Slovenia e le Province Autonome di Kosovo e Voivodina, in territorio serbo. Una vera e propria “terza via” tra l’economia pianificata sovietica e il capitalismo occidentale, guidata dal maresciallo croato-sloveno Josip Broz, meglio noto come Tito: il leader della guerra di liberazione dalla Germania nazista e il simbolo della rinascita jugoslava nel dopoguerra, non a caso protagonista della filastrocca che recita “6 repubbliche, 5 nazioni, 4 lingue, 3 religioni, 2 alfabeti, un Tito”. Dopo la sua morte, avvenuta nel 1980, la Jugoslavia si avvia però verso un declino che favorisce il ritorno dei sentimenti nazionalisti delle diverse anime balcaniche. Sentimenti solo sopiti, mai spenti dall’unità del dopoguerra. Parallelamente al processo di dissoluzione dell’Unione Sovietica, all’inizio degli anni ‘90 le tensioni jugoslave esplodono definitivamente.

Da una parte c’è il presidente della Serbia, Slobodan Milosevic. Fervente nazionalista, il suo obiettivo è espandere l’influenza serba sul resto della Jugoslavia, dando vita così alla “grande Serbia”. Dall’altra ci sono i partiti indipendentisti, che vincono le elezioni in Croazia, Slovenia, Macedonia e Bosnia ed Erzegovina. Le prime tre, in particolare, premono per trasformare la Jugoslavia in una libera federazione, allentando così la pressione serba. Dal canto suo, Milosevic sostiene che anche i serbi abbiano diritto all’autodeterminazione, difendendo così le proprie politiche espansionistiche. Il 25 giugno 1991, Slovenia e Croazia si dichiarano indipendenti, facendo saltare la polveriera jugoslava. Unione Europea e Nazioni Unite intervengono per scongiurare una guerra aperta tra Serbia e Slovenia, dichiarando, di fatto, la dissoluzione della Jugoslavia. Serbia e Montenegro si oppongono. A novembre, il Consiglio di Sicurezza dell’ONU avvia le missioni di peacekeeping sul territorio slavo. La Jugoslavia non esiste più.

Nel frattempo, però, scoppia la guerra tra Serbia e Croazia. Un conflitto sanguinoso, segnato da efferati episodi di pulizia etnica condotti dai serbi sulla popolazione croata. Ancora peggio, se possibile, va alla Bosnia ed Erzegovina, dichiaratasi indipendente il 3 aprile del 1992, la cui popolazione è frammentata in comunità serbe, croate e mussulmane. Il Paese è dunque oggetto di una spartizione territoriale tra Serbia e Croazia, portata avanti sotto l’egida delle Nazioni Unite. A maggio, tuttavia, l’esercito serbo assedia Sarajevo, macchiandosi di atrocità spaventose nei confronti dei bosniaci, soprattutto di fede mussulmana. Ma l’indipendenza della Bosnia ed Erzegovina è il colpo di grazia per la Jugoslavia. Il 28 aprile 1992, la Repubblica Federale di Jugoslavia si costituisce in uno Stato indipendente composto da Serbia e Montenegro, sempre sotto la guida di Milosevic. La comunità internazionale si rifiuta però di riconoscerne la continuità con l’ex Jugoslavia, ufficialmente dichiarata dissolta.

I giorni in cui si consuma l’agonia della Jugoslavia coincidono con la vigilia dell’Europeo del 1992. A pochi giorni dall’inizio del torneo, la nazionale jugoslava rischia di esserne esclusa proprio per i fatti che stanno sconvolgendo il territorio della Federazione. La situazione è tesissima. In Svezia, sede del torneo, l’afflusso costante di profughi slavi, soprattutto croati, fa temere attentati terroristici. A pochi giorni dall’inizio dell’Europeo, la Svezia dichiara la Jugoslavia Nazione indesiderata. Il 29 maggio, di conseguenza, FIFA e UEFA si riuniscono per prendere una decisione storica: estromettere la Jugoslavia, già sbarcata a Stoccolma per il torneo. Il presidente svedese della UEFA, Lennart Johansson, preme sulla più prudente FIFA per escludere la Jugoslavia e ripescare la Danimarca, arrivata seconda nel girone di qualificazione vinto dalla prima. Intanto, i dirigenti slavi minacciano di bloccare i loro calciatori che giocano in Europa in caso di esclusione della Nazionale dal torneo.

Intanto, tutte le altre Nazionali si oppongono alla partecipazione della Jugoslavia. Gli inglesi fanno sapere di non essere disposti a giocare contro gli “assassini” slavi, mentre i danesi si dicono pronti a prenderne il posto. Infine, a sancire ufficialmente l’esclusione della Jugoslavia è una risoluzione dell’ONU: la 757 del 30 maggio 1992. Un provvedimento che, tra le altre cose, impedisce alle rappresentative jugoslave di partecipare a qualunque manifestazione sportiva. FIFA e UEFA devono adeguarsi. Così, il 1° giugno 1992, la Danimarca prende il posto della Jugoslavia alla rassegna continentale (che, inaspettatamente, riuscirà addirittura a vincere). Mentre i danesi fanno velocemente le valigie per Stoccolma, la Nazionale jugoslava è bloccata in Svezia perché non ci sono più voli per Belgrado. Costretti addirittura a cambiare sede del ritiro per motivi di sicurezza, gli slavi non smettono di protestare contro la decisione di FIFA e UEFA, che, a parer loro, “mischia calcio e politica”.

Il colmo, per la Nazionale jugoslava, è il conto salatissimo presentato dagli svedesi per una settimana di ritiro blindato. Un conto che la federazione, o quel che ne resta, non può però permettersi di pagare, mentre Svezia e UEFA, irremovibili, si rifiutano di anticipare i soldi. Si conclude così, con una punta di farsa, la gloriosa storia calcistica della Jugoslavia, che aveva giocato la sua ultima partita due mesi prima di cessare di esistere: un’amichevole, persa 2-0, contro l’Olanda. Ma quella Jugoslavia era una squadra formidabile. Potendo contare su calciatori di livello internazionale, aveva vinto il Mondiale Under-20 giocato in Cile nel 1987, battendo formazioni decisamente più quotate. A Italia ‘90, poi, era stata eliminata solamente ai quarti di finale, ai rigori, dall’Argentina di Maradona. Qualche nome di quella squadra, in ordine sparso: Stojkovic, Savicevic, Jugovic, Boksic, Prosinecki, Suker, Katanec, Mijatovic, Mihajlovic e Boban.

Quest’ultimo è noto anche per un fatto rimasto nella storia, e non solo quella del calcio. Il 13 maggio 1990, allo stadio Maksimir di Zagabria, va in scena il match tra Dinamo e Stella Rossa di Belgrado. I tifosi serbi, guidati da Zelijko Raznatovic (meglio noto come Arkan) entrano in città cantando “Zagabria è serba”, tra le sassate dei rivali croati. Gli scontri proseguono dentro lo stadio. I tifosi croati entrano in campo e la polizia, a maggioranza serba, li carica davanti ai giocatori della Dinamo, tra i quali c’è anche Boban. Vedendo un poliziotto (che poi si scoprirà essere bosniaco) picchiare un tifoso croato, il giovane 10 decide di intervenire colpendo l’agente con un calcio che gli costa una lunga squalifica e il Mondiale italiano. Un episodio che prefigurò, sinistramente, ciò che sarebbe accaduto alla Jugoslavia solamente di lì a qualche mese.