Caos Mondiale, luci e ombre del Qatar: l’altra faccia del Campionato del Mondo

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(Photo by -/AFP via Getty Images, Onefootball.com)

Ormai è ufficiale, con l’uscita dei calendari di Serie A, comincia il periodo dei rimpianti: quello che Mancini – Commissario Tecnico della Nazionale – ha definito di passaggio. Vale a dire il momento in cui faremo i conti con il rammarico perenne. Non essere andati al Mondiale: l’Italia farà da spettatrice, ma restano le conseguenze. Nella Penisola si gioca anche a Ferragosto per permettere a Dicembre la messa in opera del Campionato del Mondo: le luci del grande calcio sotto Natale non fanno piacere ai club che si lamentano con Ceferin.

La UEFA risponde così alle polemiche: “Calendari intasati? Protesta sterile”. Dovete giocare e basta, perchè in ballo c’è troppo, questa la traduzione sintetica di un concetto che deve – secondo i vertici e gli organizzatori – restare come un tarlo nella testa. In effetti la polemica dei calendari lascia il tempo che trova rispetto ad altre criticità che accompagnano questo Mondiale.

Caos Mondiale, l’altra faccia del Qatar: il lato oscuro della Coppa del Mondo

La questione viene affrontata persino da Amnesty International perchè, da quelle parti, vige ancora un protocollo stringente fra tradizione e arretratezza. Diritti umani calpestati, giustizia sociale spesso ignorata. Senza contare che persistono punti interrogativi particolarmente gravosi sull’attendibilità e la messa in sicurezza di certe opere: si parla addirittura di lavoro minorile e costi gonfiati. Inchieste portate avanti in parallelo in questi mesi, frutto anche di alcuni arresti importanti.

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(Photo by Karim SAHIB / AFP) (Photo by KARIM SAHIB/AFP via Getty Images)

Come quello dei due giornalisti appartenenti alla tv di stato norvegese, Halvor Ekelan e Lokman Ghorbani, sottoposti a carcere duro per aver svolto un’indagine approfondita sulle condizioni di lavoro agli impianti dalle parti di Doha. Dove non arriva la cronaca può giungere l’inclusione: la sferzata finale è di Josh Cavallo, primo calciatore a livello europeo a dichiararsi omosessuale. “Se mi chiamassero per giocare in Qatar – dice – avrei paura. Non siamo abbastanza tutelati”. Il riferimento non è soltanto alla sfera LGBTQ+, ma a tutte quelle mancanze che ancora gravitano sul piano dell’integrazione e dei diritti umani.

Una situazione senza apparente via di scampo: Nasser Al Khater, fra i promotori del Mondiale in Qatar, cerca di tutelare l’immagine parlando di “codice etico” relativo solo ai residenti. Vale a dire che gli “ospiti” devono solo attenersi alle regole base del Paese ospitante. “Gay benvenuti, ma è vietato scambiarsi gesti ed effusioni d’affetto in pubblico”. Una condotta a cui sono chiamati ad adeguarsi tutti. Paese che vai, usanze che trovi, ma non è questo il punto.

UEFA e FIFA, il prezzo della coerenza

La ragione principale per cui un Mondiale così non andrebbe avallato è di tipo deontologico: se UEFA e FIFA si prodigano, durante la stagione, a promuovere campagne contro il razzismo – “Not to Racism” – e la ghettizzazione del diverso (Infantino ha anche assicurato che sarà fatto il possibile per prevenire campagne d’odio sui social), poi dovrebbero evitare di caldeggiare progetti dove il pregiudizio e gli stereotipi verso la diversità e il rispetto della dignità umana sono all’ordine del giorno.

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Questo Mondiale vedrà assente l’Italia, forse – citando Mancini – non è solo una questione di rimpianti. Vince il buon senso (che in molti non hanno avuto) in grado di evidenziare quanto, forse, un Campionato del Mondo con queste premesse sarebbe stato meglio rimanesse in un cassetto. Non si può ragionare soltanto in merito alle pubblicità e ai possibili introiti, altrimenti poi parlare di valori da rispettare – dentro e fuori dal campo – diventa difficile. Esattamente come mandare giù determinati compromessi.