Ceferin

Photo by FRANCK FIFE/AFP via Getty Images)

A Ceferin non basta vincere, vuole stravincere, umiliare l’avversario, punirne quattro per educarne dodici, o anche quindici, al massimo venti. Il passo indietro sulla SuperLeague, ormai archiviata, non è sufficiente, il presidente della Uefa vuole la rinuncia formale da parte di ognuno dei singoli club. Quindi anche, e soprattutto, di quei quattro che ancora non si sono decise ad abbandonare la nave: Real Madrid, Juventus, Milan e Barcellona, che ancora aspetta il voto dei soci per esprimersi in maniera definitiva. La pena, per le quattro traditrici dei valori fondanti del calcio, è l’esclusione dalla prossima Champions League.

Parole nette quelle di Ceferin, che ormai ha ingaggiato una vera e propria guerra verbale con Florentino Perez e Andrea Agnelli. Chiunque continui a essere coinvolto nella Superlega, in futuro non potrà giocare nelle competizioni UEFA. Le nostre competizioni saranno fantastiche anche senza queste quattro squadre“, ha detto ieri il presidente della Uefa. Deciso a portare avanti la sua campagna di annientamento degli avversari, forte del pubblico mea culpa dei club inglesi, la cui inversione a U ha consegnato a Ceferin un potere mai avuto prima. Usando parole forti e toni eccessivi, che cavalcano l’onda popolare ma non servono a riportare la serenità in seno al calcio europeo.

In Italia, complice una “naturale” antipatia per la Juventus ed Andrea Agnelli, la gogna è stata montata, almeno nelle piazze virtuali, cinque minuti dopo il fallimento del progetto SuperLeague. E non è un bel vedere. Perché al di là delle rimostranze di qualche club di A, convinto che il fallimento delle trattative sui fondi di investimento sia legato proprio al torneo alternativo ed elitario pensato da Agnelli e Perez, i campionati nazionali c’entrano poco. Per non dire nulla. Adesso, serve che tutti facciano un passo avanti, lasciando da parte le minacce e le prove di forza. Tipo, citando di nuovo il Ceferin di ieri sera: “Adesso possiamo dire che se qualcuno vuole essere egoista, può provare a fare di nuovo la Superlega. Ma ci hanno già provato una volta e hanno fallito!”. 

Non a tutti piace l’idea della pacca sulla spalla, ma non può neanche andare bene una gestione così dicotomica tra il perdono da padre di famiglia riservato alle inglesi e il bastone usato sin qui con Real, Barcellona, Juventus e Milan. Che, d’altra parte, a questo punto possono benissimo lasciar cadere, almeno nella forma, un progetto destinato al fallimento. Continuando, questo sì, a pensare ed immaginare il futuro del calcio. Dentro o fuori dalla Uefa. E questo che a Ceferin piaccia o meno, perché i club sono quelli che si assumono il rischio d’impresa, che (troppo spesso) fanno i debiti, e che, alla fine dei conti, devono trovare il modo di rendere remunerative la propria impresa.

Ed è questo il cuore della faccenda, su cui ieri Florentino Perez è tornato a battere con forza, dalle pagine di “AS”. “Il calcio è malato. Dobbiamo adattarci ai tempi che viviamo. L’economia del pallone sta affondando e la nuova riforma della Champions League non risolve il problema. Tra l’altro la proposta presentata non è neanche la migliore soluzione possibile. Dobbiamo fare qualcosa: i giovani tra i 14 e i 24 anni stanno abbandonando il calcio perché sono attirati da altri eventi”, ha detto il presidente del Real Madrid (qui l’intervento completo). Questa è la sfida a cui la Uefa deve necessariamente rispondere. Con la consapevolezza che molto di quanto dice Perez è vero. E se Ceferin vuole vincere davvero, dovrà accontentare le richieste, o buona parte di essere, delle big. A meno che davvero non creda che la Champions League possa essere divertente anche senza di loro.