Dal calcio del popolo alla Coppa Italia d’élite

Coppa Italia

AlessandroxGarofalo

Calcio popolare a chi?

Dopo l’indignazione per la SuperLeague, il progetto di un torneo di altissimo livello, che avrebbe strappato il calcio alle sue radici popolari, la FIGC ieri ha presentato la prossima Coppa Italia. Che, sorpresa, dopo l’ennesimo, inutile restyling, sarà ancora più elitaria di oggi. Parteciperanno, infatti, solo le squadre di Serie A e Serie B, e tanti cari saluti al calcio di provincia. Sono bastate poche settimane, così, per scoprire il bluff di una Federazione che alle parole non è stata in grado di far seguire i fatti.

Quello della Coppa Nazionale, infatti, è da sempre un punto debole del calcio italiano, che negli ultimi decenni ha cambiato più volte formula, senza però che il trofeo trovasse mai la propria strada. Eppure, la soluzione, che di certo entusiasmerebbe i tifosi di Serie A, B, C e delle piccole squadre della Serie D, è sotto gli occhi di tutti. La FA Cup inglese, che tutti invidiano e in tantissimi guardano da lontano, è un format fedele alla storia del calcio inglese, perfetto per creare coinvolgimento e incroci imprevedibili. Sarebbe bastato, per una volta, copiare ciò che esiste e funziona da ben oltre un secolo.

Un’occasione persa

E invece, per l’ennesima volta, si è preferito studiare una formula nuova, meno inclusiva, a 40 squadre, le 20 di A e le 20 di B, appunto. E pensare che alla ultima FA Cup hanno partecipato qualcosa come 736 club, praticamente tutto il professionismo e semiprofessionismo inglese. Un abisso. Certo, la proposta deve ancora ricevere il via libera del Consiglio federale della FIGC, ma il segnale va in direzione contraria a quanto scaturito da un dibattito pubblico che, come sempre in Italia, è già finito in soffitta.

Del resto, al di là dello stupore pubblico, il Consiglio della Lega di Serie A avrebbe affrontato la questione SuperLeague già a febbraio, come rivelato tre giorni fa dal Sole 24 Ore. Ossia, due mesi prima che deflagrasse la bomba. E che quindi esplodesse la ribellione dei club esclusi, dei tifosi, della stessa FIGC. Perché il calcio è del popolo. A patto che il popolo tifi il club giusto. Magari sul divano, ché allo stadio fa fa freddo, piove, non sin trova parcheggio, si vede male.

Peccato, è un’occasione persa, che di certo non avrebbe salvato il calcio italiano, ma lo avrebbe riavvicinato a quei milioni di tifosi delusi da una gestione sempre più verticistica, che la FIGC, se non a parole, non sembra proprio i  grado di sovvertire o ripensare. A differenza – e caschiamo sempre lì, in quella Premier League che ha portato per la seconda volta in tre anni due squadre in finale di Champions League – di quanto sta accadendo in Inghilterra, dove, per esempio, il Chelsea ha aperto il board a tre rappresentanti della tifoseria.