De Sciglio a 360°: “Milan, felicità poi il baratro. Non sono figlioccio di Allegri”

De Sciglio

(Photo by Emilio Andreoli/Getty Images )

Mattia De Sciglio si racconta. Il terzino della Juventus, ai microfoni di Cronache di Spogliatoio, ha raccontato il suo percorso di carriera: dagli inizi al Milan fino all’approdo in bianconero, passando per momenti difficili che hanno toccato il giocatore. Ecco le sue parole.

Mattia De Sciglio, dalla felicità al baratro fino alla rinascita alla Juve

De Sciglio
(Photo by Marco Luzzani/Getty Images)

I momenti difficili con il Milan
Alzo la testa e vedo che sulla lavagnetta luminosa c’è il numero 2. Il mio numero. “De Sciglio, esce De Sciglio”, sento gridare. Non ho molto tempo per realizzare, perché in quel preciso istante 70mila persone iniziano a fischiare. Fortissimo. Non capisco: sono stato dato in pasto ai leoni. «Perché cazzo mi sta cambiando?», non riesco a chiedermi altro. Al 70’, mister Montella decide di cambiarmi. Quella è stata l’inizio della fine. La situazione era già compromessa, ma in quel preciso istante l’acqua ha traboccato dal vaso ed è diventata benzina sul fuoco. I fischi sono talmente forti che non riesco a pensare. Mi siedo in panchina e vengo sopraffatto da vampate di calore, di rabbia. Ribollo. Ero stato gettato nel vortice, messo nel mezzo e dato in pasto ai tifosi per lavarsene le mani. Ero incazzato”.

La lite con i tifosi nel parcheggio
“Raggiungo i miei genitori nel garage dello stadio, dove mi stanno aspettando per tornare a casa. Salgo in macchina e imbocchiamo il tunnel d’uscita. C’è un po’ di coda, mio padre frena e si mette in fila. Un tifoso, con in mano una birra e chissà quante altre bevute prima, si avvicina e grida: “Qui dentro c’è De Sciglio!”. Inizia a insultarmi, si crea un capannello di persone. “Vattene alla Juventus”. Mio padre scende dalla macchina e prova a calmarli, a fargli capire che non si può mortificare una persona. Niente, iniziano a spintonare. A quel punto non ci ho visto più. Buio, tutto nero. Sono sceso e ho fatto l’errore di reagire. Non sono riuscito a tenermi dentro tutte le emozioni negative che vivevo. Ho sbagliato, ma avevo visto i miei genitori tirati in mezzo a questa storia. Terribile”.

Prima la felicità poi la depressione
“Al Milan ho vissuto momenti bellissimi, uno dietro l’altro, che mi avevano riempito il cuore. Nessuno ti prepara al baratro. Ho iniziato ad avere problemi fisici che mi hanno condizionato. Non ho avuto problemi gravi, tutti stop di qualche settimana: tornavo, e dopo due partite mi fermavo nuovamente. Sono iniziate le critiche della stampa e dei tifosi. Mi hanno ferito, facevano male.Si era creata un’immagine distorta, e anche quando facevo delle partite positive, saltava fuori un pretesto per attaccarmi. Mi sono chiuso in casa. Vivevo in un vortice di pensieri negativi, dove mi sentivo in difetto anche nell’andare a cena con la mia fidanzata a metà settimana, oppure portare fuori mia madre. Mi mancava la felicità. Faticavo a sorridere. Sono un ragazzo solare, che cerca compagnia e scherza sempre. Mi ero trasformato nella mia nemesi. Mi ha detto che ho sfiorato la depressione, uno stato in cui nessuno si accorge di entrare. Ho imparato a lavorare con la testa attraverso un lungo percorso che mi ha permesso di capire chi sono veramente, e che sono arrivato a certi livelli è perché me lo merito.

L’addio al Milan
La notte di Milan-Empoli si avvicina. Mi ero ripreso e anche l’Europeo era andato alla grande. Mattia era tornato, ancor prima di De Sciglio. Dopo qualche mese, comunico alla società che non avrei rinnovato il contratto in scadenza. Una scelta sofferta, ma erano successe troppe cose e necessitavo di cambiare ambiente. A gennaio leggo: “De Sciglio non rinnova perché ha già firmato con la Juventus”. Rimango colpito, perché io non avevo ancora sentito nessuno. Ad aggravare la situazione, gli infortuni di Montolivo e Abate fecero cadere la fascia di capitano sul mio braccio. Le mancanze di rispetto erano all’ordine del giorno”.

Il rapporto con Allegri e la fama del ‘figlioccio’
Il Milan era il mio caricabatterie, eravamo sempre connessi e stavo al 100% in ogni momento. C’era Boa, c’era Ibra, e soprattutto c’era il mister. Ecco, prima di parlarvi di Allegri, voglio dirvi una cosa: non sono il suo figlioccio. Il nostro è uno dei rapporti allenatore-giocatore più iconici degli ultimi anni, ma lui non mi ha mai favorito. Certo, ciò che è vero, è che tra noi è nato un legame speciale. Pretende tanto da me, e sono uno di quello che massacra di più. A lui piace dare nomignoli a tutti i calciatori, e quando vuole colpirmi nell’orgoglio mi chiama «Mangia e dormi”. Dice che sostanzialmente io mi alleno, mangio e dormo. Stop”.

‘Cortomusismo’
“Il suo pragmatismo viene visto come un difetto. In tanti si mettono negli occhi il bel calcio, guardano Guardiola e puntano il dito. Secondo me, Pep è una cosa a sé, unico nelle sue idee e nel modo di sistemare la squadra, di inventarsi i ruoli per certi elementi. La gente si è messa in testa che tutte le grandi devono giocare bene. Non voglio prendere le difese di Allegri, è il mio pensiero, ma è una contraddizione. In Italia si tende a guardare il risultato, poi però si parla del bel gioco. E tante volte, le due cose non vanno di pari passo”.