ESCLUSIVA CiP – Giacomo Raspadori raccontato dal suo primo allenatore

Emozione, passione, sincerità. C’è tutto questo negli occhi di Aldo Tolomelli, primo allenatore di Giacomo Raspadori, quando ci racconta di lui. L’infanzia del gioiellino del Sassuolo è come quella di tanti altri bambini della provincia di Bologna, precisamente di Castel Maggiore. Scuola, studio, amici e…calcio. Togliere il pallone dai piedi a quel bambino di nove anni era l’impresa dei genitori.

Le abitudini di Jack non sono di certo cambiate. Lo confermano tre bambini, probabilmente della stessa età che aveva Giacomo all’epoca. “Siete qui per Raspadori? Sapete che la scorsa estate stava giocando a calcio al campetto qui dietro con suo fratello? Ci ha fatto pure l’autografo!“. L’emozione è palpabile e la gioia presente negli occhi di quei tre bambini è immensa. Passione per il calcio: questo è ciò che si respira a Castel Maggiore, di generazione in generazione.

“Bisognava spingerlo fuori dal campo”, questo racconta Tolomelli, con la voce di chi ha vissuto in prima persona le prime gesta di un futuro campione. E chissà se Aldo, a quell’epoca, sapeva di avere tra le mani un predestinato. Questo e tanto altro è stato raccontato dal primo allenatore di Giacomo Raspadori in esclusiva a Federico Draghetti per Calcio in Pillole.

Aldo Tolomelli racconta le origini di Giacomo Raspadori in esclusiva a CiP

Giacomo Raspadori
(Photo by Claudio Villa/Getty Images)

Com’era Giacomo, tecnicamente e caratterialmente, quando hai iniziato ad allenarlo?

Un esempio per tutti, sempre umile e sul pezzo. Fuori dal campo lo vedevo nei parchi attorno al centro d’allenamento con i suoi amici o con suo padre che non mollava mai il pallone. Bisognava spingerlo fuori dal campo. Era il primo ad arrivare e l’ultimo ad andare via. Sprizzava gioia dappertutto, era così quando giocava qui al Progresso e lo vedo ancora adesso in lui. La sua persona fa bene al gruppo anche se è già arrivato a livelli importanti. Ora sta giocando con dei campioni, e se andrà a giocare alla Juve come dicono, penso che possa fare bene a tutti quanti”.

In spogliatoio aveva la personalità del leader?

“Era leader con l’esempio che dava in campo, non “con la voce”. Trascinava tutti facendo le cose ai duecento all’ora. Non l’ho mai richiamato una volta per poca attenzione o poca intensità, anzi, bisognava quasi frenarlo. Questo è Giacomo, e lo sta dimostrando ancora adesso”.

A quell’età si vedeva già che aveva qualcosa in più degli altri?

“Ho avuto la fortuna di allenare un gruppo di livello, ma lui si vedeva già che aveva qualcosa in più. Ancora adesso mi chiedo quale sia il suo piede forte. Già da pulcino faceva le stesse cose sia col destro che col sinistro. La sua caratteristica migliore è che se lui si dà un’obiettivo non molla mai pur di raggiungerlo”. 

A quell’epoca pensavi già di avere tra le mani un futuro giocatore di Serie A?

“In quel momento non ci pensi, ma poi, riflettendo, nel gruppo che allenavo chi poteva arrivare in alto era lui. Era determinato in tutto quel che faceva”.

Quella volta che Giacomo segnò sette gol e fece vincere il torneo alla sua squadra

“Ricordo un torneo nella quale dovevamo fare troppi gol per passare il turno. Ormai eravamo già eliminati, perciò ho pensato di togliere Giacomo per dare spazio anche ad altri. Non andò così. Mi guardò e mi disse: “No mister, ci penso io”. Fece sei o sette gol e ne fece fare altri otto ai suoi compagni. Il risultato? Passammo il turno per differenza reti. A volte lo facevo partire fuori in alcune partite, ma era solo peggio. Appena lo facevo entrare aumentava ancora di più i giri, era ancora più motivato e spaccava la partita. Provavo a dirgli di non tenere troppo palla e di giocare di squadra, ma vederlo che giocava in quel modo già da pulcino era devastante”.

Il retroscena: la Roma ci provò per Giacomo Raspadori

“Aveva avuto i contatti con Bruno Conti. Andò a Roma in treno con sua madre per fare un provino, ma ci fu un disguido. Arrivato alla stazione chi doveva venirlo a prendere non si è mai presentato, allora lui tornò a casa. Questa cosa è strana. Secondo me la Roma si è persa un bel colpo”. 

Poi si presentò il Sassuolo…per il fratello!

“Quando il Sassuolo veniva qui a Progresso visionavano il fratello di Giacomo. Il nostro direttore sportivo allora gli disse di vedere anche “il ragazzino” e fu subito amore. Da lì è nato tutto quanto”.

Giacomo Raspadori che calciatore del passato ti ricorda?

“Lui dice sempre Aguero, e fisicamente lo ricorda. A me viene in mente anche Romario per la stazza e le movenze molto tecniche. Mi può ricordare anche Giovinco, sia per la statura che per la rapidità e la bravura con entrambi i piedi”.

Il suo ruolo in campo

“Il suo ruolo è quello di sotto punta o trequartista, anche se ne può fare altri. Può fare anche l’esterno, anche se perde qualcosa. Prima punta? Per la stazza, la qualità e la visione di gioco che ha per me è devastante da sotto punta”.

Dove può ancora migliorare?

“Se andrà in una grande squadra c’è sempre da migliorare l’aspetto mentale. Nelle big conta vincere, e lì vorrei vederlo fare la giocata che sposta gli equilibri. Lo si è visto già all’Europeo. Anche se ha giocato poco si è fatto trovare pronto. Sarei curioso di vederlo migliorare in una squadra che punta a vincere le coppe, dove si sente la pressione. Gli auguro il massimo”.

Che squadra vedi nel suo futuro? Quale progetto pensi che possa essere più adatto a lui?

“Si parla di Juventus, e gli auguro di andarci, che è il top. Spero che possano valorizzarlo e che il calcio italiano inizi a pensare ai nostri giovani. Purtroppo vedo troppi stranieri, e questo non ci aiuta. Non dico che non ci vogliano, ma penso che ci siano tanti italiani di pari livello, ma spesso sono “chiusi”. Giacomo ha dimostrato di essere pronto”.

Giacomo Raspadori può essere l’attaccante del futuro dell’Italia?

“Sì, ormai è nel giro della Nazionale. Spero che la federazione punti su questi giovani”.

Hai un consiglio da dare a tutti i ragazzini che si ispirano a Giacomo?

“Quello di non perdere mai la gioia di giocare. Serve avere la passione dentro. Con queste due cose si possono raggiungere risultati importanti. Se l’obiettivo di un bambino è quello di arrivare subito tra i professionisti? Per me non è così che funziona. Il percorso deve venire naturale. In Giacomo ho visto questo, aveva gioia e passione per il calcio”.

Una dedica per Giacomo

Al termine dell’intervista chiediamo al Aldo una frase da dedicare a Giacomo. In fondo…chi meglio di lui può farla? Tiriamo fuori una busta da lettera, gli diamo una penna, e Aldo comincia a scrivere.  Non perdere mai la gioia di giocare“. Poche parole, concise, ma profonde e che vengono dal cuore, così come tutta l’intervista. “In Giacomo ho sempre visto questo. Alla fine è sempre un gioco, ed anche se per lui è diventato un lavoro, con questo puoi superare tanti problemi, che nel calcio ci sono”.

Aldo chiude così l’intervista, con la voce sincera ed emozionata di chi vive il calcio sulla sua pelle da tanti anni. Jack fa parte del suo percorso, e nel percorso di Jack c’è sicuramente un po’ di Aldo, anche se quest’ultimo, forse, non lo ammetterà mai. Passione e umiltà.