Ibra, Miha, Sanremo e la torre d’avorio e noia del calcio italiano

Ibra al Festival di Sanremo

Ibra al Festival di Sanremo

Dopo una serata di pausa, dovuta al turno infrasettimanale di campionato, ieri sera Ibra è tornato a Sanremo. In ritardo, a causa di un grave incidente incontrato per strada, e nella serata più densa, lunga ed estenuante del Festival. Almeno sin qui. In effetti, era previsto in scaletta prima delle 23, ma la sua è stata un’assenza di cui nessuno si è reso realmente conto. Scende le scale esattamente come ha fatto martedì, con la stessa faccia e lo stesso tono di voce, stillando grosso modo le stesse battute.

La prova, quella vera, attesissima, era per l’esibizione canora. Che sui quotidiani sportivi di oggi è stata celebrata come un trionfo, e viene da chiedersi perché. Che i giornalisti del calcio non siano dotati di senso critico? O che di Ibra si possa parlare solo come di un semi Dio, chissà poi perché? Basta farsi un giro sui social ed ecco che il giudizio cambia in maniera radicale. In effetti, la performance di Zlatan e Mihajlovic è stata pietosa, un momento che definire imbarazzante è il minimo. Non che qualcuno si aspettasse chissà quale grande momento di spettacolo, ma neanche la scena muta vista (subita) ieri sera.

Prima, però, c’era stato il siparietto con Mihajlovic, in cui Ibra ha ripercorso le tappe della loro lunga amicizia. Iniziata con una testata, al culmine di uno scontro giocato tutto sulle note del machismo, dell’agonismo, del peggio, in sostanza, che il calcio ha da dire e da comunicare. Un bel passo, di lato, nel Medioevo da cui il pallone, almeno in Italia, non sembra in grado di uscire. Proprio nel giorno in cui ricorreva la morte di Davide Astori, calciatore con tante altre passioni. Ricordato, con una lettera bellissima, dal suo ex compagno di squadra Riccardo Saponara.

Un vero e proprio manifesto sull’umanità che, nel calcio, troppo spesso finisce in secondo piano. Un pugno allo stomaco, perché il ricordo dell’ex capitano della Fiorentina, è di per sé struggente. Ma anche una ventata di aria fresca e un pungolo, perché il calcio non è solo testate e banalità a profusione. Ed i calciatori non sono solo calciatori. Davide Astori – come emerge dal racconto intimo di Saponara – si sentiva un designer prestato al calcio. Con la passione per il cinema, la musica, la cucina: come tantissimi di noi. Ecco, questo deve imparare a fare il calcio: scendere dalla torre d’avorio in cui si è barricato da decenni, e scendere nella vita reale.

Una rivoluzione che certo non potrà fare Ibrahimovic, campione vecchio stampo, tutto d’un pezzo, senza fronzoli. E, come ha ribadito lui stesso, per nulla impegnato nelle questioni che non riguardano il calcio. Come se fosse un disvalore, o un rischio troppo grande da correre, tanto che nei giorni scorsi, dal mondo della NBA, gli sono piovuti addosso commenti a dir poco sferzanti. Il mondo è qui, sembrano urlare dal parquet, non lassù, nella torre d’avorio di risposte precompilate ed interviste asettiche. Forse è l’ora di scendere, di offrire di sé, e quindi del calcio, un volto diverso, sfaccettato, interessante, essenzialmente umano. A costo di qualche commento ostile sui social, perché, parafrasando ancora l’ottimo Saponara, non ha senso vivere solo di calcio e nel calcio, come se fosse un universo parallelo alla vita reale, alle sue passioni, alle sue pulsioni e alle sue tragedie.