Il Chelsea di Roman Abramovich: ascesa e caduta di un oligarca prestato al calcio

Abramovich Chelsea

(Photo by JUSTIN TALLIS/AFP via Getty Images)

Chelsea-Abramovich: gli albori

Quando, nel 1999, Boris El’cin, tirò fuori dal cilindro il nome di Vladimir Putin come Primo Ministro, nessuno, ad ovest di Mosca, ne aveva mai sentito parlare. Direttore dell’FSB, il Servizio Federale per la Sicurezza della Federazione russa nato dalle ceneri del KGB, in pochi mesi diventa Presidente, e da lì non si muoverà più. Pochi anni dopo, nel 2003, Roman Abramovich diventa il primo oligarca russo ad investire nel grande calcio, acquistando, per 60 milioni di sterline, in Chelsea. A prima vista, due eventi slegati e distanti da loro, ma che raccontano bene il corso della Russia moderna, quella sorta dalle macerie dell’Unione Sovietica, la cui dissoluzione era iniziata già prima della caduta di Berlino.

Chelsea, storia contemporanea

Alla fine degli anni Ottanta, quando ormai tutto era perduto, a guidare la transizione c’era Michail Gorbačëv, che aprì per la prima volta all’imprenditoria privata. È in questo frangente che inizia la scalata di un giovanissimo Roman Abramovich, e praticamente di tutta l’oligarchia russa che oggi tiene in mano le fila dell’economia del Paese. Nel volgere di pochi anni, le sue imprese di import/export fatturano milioni di dollari, che gli permettono la scalata alla Sibneft, oggi conosciuta come Gazprom. Ossia, il più importante player russo sul mercato dell’energia, fino a pochi giorni fa sponsor di UEFA e Schalke 04. Inutile indagare troppo, perché la nebbia, quando si parla della svolta capitalista della Russia, è fittissima ed impossibile da diradare.

Un mecenate in Premier

Ci basti sapere che nel 2003, ormai tra i super ricchi del Paese, decide di diversificare, facendo il suo ingresso nel mondo del calcio. Un ingresso a dir poco deflagrante e spettacolare. Bastano, col senno di poi è il caso di dirlo, 60 milioni di sterline per rilevare il Chelsea, ma allora fu la cifra più alta mai spesa per un club britannico. Era un altro calcio, un’altra epoca, e quasi nessuno si fece troppe domande, accogliendo Roman Abramovich come un magnate. Dalle risorse praticamente infinite, tanto da ribaltare in pochissimo tempo i rapporti di forza della Premier. Il club londinese, dalla sua nascita, nel 1905, aveva vinto una sola volta il titolo di campione d’Inghilterra, nel 1955. E, fino a quel momento, in bacheca facevano bella mostra la Coppa delle Coppe del 1971 e quella del 1998, insieme a due FA Cup, due Coppe di Lega ed una Supercoppa Europea.

Bottino considerevole, ma nulla in confronto a quanto vinto negli anni successivi. Nell’estate del 2004 la rivoluzione voluta da Abramovich nel Chelsea a suon di sterline (o rubli) porta sulla panchina dei Blues Josè Mourinho, campione d’Europa in carica con il Porto. Arrivano, per un investimento complessivo di 166 milioni di euro, Didier Drogba dal Marsiglia, Ricardo Carvalho e Paulo Ferreira dal Porto, Petr Cech dal Rennes, Arjen Robben dal PSV Eindhoven, Alex dal Santos. Il Chelsea cambia forma e spessore. A maggio 2005 arriva l’agognato titolo, l’inizio di un ciclo non ancora concluso. L’estate successiva, ad una squadra già importata, vengono aggiunti Michael Essien, Shaun Wright-Phillips e Lassana Diarra. Non bastano a coronare il sogno Champions, ma a bissare la vittoria della Premier sì.

Avanti Veloce

Schiacciando sul tasto “forward”, possiamo sintetizzare l’epopea del Chelsea di Roman Abramovich come una corsa a mille all’ora sulle montagne russe. Al di là del più banale dei giochi di parole, a Stamford Bridge passano i migliori allenatori in circolazione, da Conte ad Ancelotti, da Benitez a Sarri. Dopo la finale persa nel 2008 contro il Manchester United, ci vuole un underdog come Roberto Di Matteo per vincere la Champions League, nel 2012, quasi per caso. Al termine di una stagione a dir poco travagliata, iniziata con André Villas-Boas, esonerato a marzo con la squadra lontana dai primi posti. E finita sul tetto d’Europa con l’allenatore italo-svizzero che guida i Blues alla vittoria (ai rigori) sul Bayern Monaco. La seconda, meno di un anno fa, con Tuchel in panchina e un’altra finale vinta da sfavoriti. Di fronte, il Manchester City di Pep Guardiola, stracciato tatticamente dal tedesco: 1-0 e seconda Champions League in bacheca. Insieme a due Europa League (2013 e 2019) ed altre tre Premier League (2010, 2015 e 2017).

Chelsea, la ‘caduta’ di Abramovich

A giorni, il Chelsea cambierà proprietà, per una cifra superiore ai 3 miliardi di sterline, ossia 50 volte il costo iniziale. Un rapporto che racconta bene quanto il calcio sia cambiato dall’avvento di Roman Abramovich alla sua cacciata. Perché di cacciata si tratta. Ma con stile: i proventi andranno tutti alla popolazione ucraina colpita dalla guerra di Putin. Che, per Abramovich, non è certo uno sconosciuto. Del resto, tra il 2001 e il 2013, l’ormai ex proprietario del Chelsea è stato prima Governatore e poi Presidente del Circondario autonomo della Čukotka. Lembo estremo della Russia nordorientale, enorme ma meno popolato di Viterbo, certo non l’impegno principale dell’oligarca, ma pur sempre un incarico pubblico e politico, nella Russia di Putin. Che gli oligarchi – tutti – hanno sostenuto per tutto questo tempo. Oggi, al di là del bel gesto, è difficile prendere le distanze dal leader russo e ricostruirsi una credibilità, neanche nella Londra finita, un pezzo alla volta, nelle mani di gruppi e cordate russe ed arabe. Per il Chelsea, anche senza Abramovich, il futuro si prospetta comunque luminoso, perché ormai brilla di luce propria, in campo come nei bilanci, stella di prima grandezza del campionato più ricco e spettacolare del mondo.