In viaggio con CIP – Buenos Aires e l’Argentinos Juniors, il palcoscenico d’esordio di Maradona

(Photo by Fernando de Dios/Getty Images)

Una città cosmopolita, un tempio della musica e del calcio, una metropoli sempre attiva. Questo è molto altro è Buenos Aires, la capitale dell’Argentina. Situata sulla riva meridionale del Rio de la Plata, Buenos Aires viene fondata nel 1536 dal conquistador spagnolo Pedro de Mendoza, che le dà un nome lunghissimo: Ciudad del Espíritu Santo y Puerto Santa María del Buen Ayre. Distrutta dagli indigeni pochi anni dopo, la città viene rifondata nel 1580 dallo spagnolo Juan de Garay con il nome di Ciudad de la Santísima Trinidad y Puerto de Nuestra Señora de los Buenos Aires. Il toponimo evidenzia la devozione dei fondatori per la Madonna di Bonaria, la Madonna venerata nell’omonimo santuario situato a Cagliari.

Uno scorcio di Buenos Aires. (Photo by Marcelo Endelli/Getty Images)

L’impetuosa crescita economica dell’Argentina nei primi anni del XX secolo attira nella città, col tempo chiamata semplicemente Buenos Aires, centinaia di migliaia di immigrati provenienti da tutto il mondo, in gran parte italiani. La popolazione aumenta vertiginosamente, dai circa 400.000 abitanti del 1887 si arriva a superare quota 1.500.000 nel 1914, fino ai più di 3 milioni attuali. Tutto ciò fa sì che si crei un affascinante mix di culture e lingue che va a caratterizzare fortemente la città. Spostarsi da un barrio all’altro è come fare il giro del mondo: si passa infatti da una comunità italiana ad una giapponese, da una coreana ad una spagnola, da una cinese ad una brasiliana e l’elenco potrebbe andare avanti per molto.
Fra una visita alla Casa Rosada, sede degli uffici del Presidente della Repubblica, e una alla meravigliosa e variopinta via-museo del Caminito è impossibile non udire le note di uno dei simboli di Buenos Aires, il tango.
Ad esso è intimamente legata la celebre Avenida Corrientes, “la strada che non dorme mai”, su cui si affacciano i più famosi ristoranti, bar e teatri della metropoli.

Buenos Aires vista dall’alto, si nota l’Estadio Monumental, casa del River Plate (Photo by Sebastian Rodeiro/Getty Images)

In questo scenario si inserisce l’anima calcistica di Buenos Aires, capitale del calcio sudamericano. È qui che si disputa il derby più sentito ed emozionante del mondo, il Superclásico fra Boca Juniors e River Plate, ben più di una semplice partita. In Argentina il calcio non è solo uno sport, è una religione, una speranza per milioni di bambini provenienti da famiglie non agiate economicamente, che giocano nei campi di periferia sognando di diventare professionisti. Uno di essi si chiamava Diego Armando Maradona ed il suo sogno l’ha realizzato, anzi, è andato ben oltre. La leggendaria carriera di Diego è partita proprio da Buenos Aires, tra le fila di uno dei club storici della capitale, l’Argentinos Juniors. Una squadra che negli anni si è guadagnata il soprannome di El Semillero (Il Semenzaio) per il suo settore giovanile, uno fra i migliori al mondo.

Los Bichos Colorados

La storia dell’Argentinos Juniors inizia nel 1904, quando un gruppo di giovani del barrio di Villa Crespo decide di fondare una squadra. Le simpatie politiche dei ragazzi fanno sì che il neonato club venga denominato “Martiri di Chicago” in onore degli otto anarchici condannati a morte o alla prigionia per la rivolta di Haymarket del 1886, uno degli episodi che portarono all’istituzione della Festa dei lavoratori del 1° maggio. I colori scelti sono il bianco ed il verde. Passano pochi mesi e la squadra viene fusa con il Sol de la Victoria, compagine fondata nel barrio de La Paternal da alcuni ragazzi vicini all’ideologia socialista. La nuova squadra prende il nome di Argentinos Juniors e come colore sociale, viste le idee politiche dei fondatori, la prima scelta è il rosso, a cui viene aggiunto il bianco.

Tifosi dell’Argentinos vestiti da supereroi (Photo credit should read ALEJANDRO PAGNI/AFP via Getty Images)

La prima partita va come peggio non poteva andare: l’Argentinos viene infatti battuto dal Club La Prensa con un rotondo 12-1. L’entusiasmo dei fondatori però non si spegne e la squadra va avanti, guadagnandosi nel corso degli anni il soprannome di Bichos Colorados (Formiche Rosse).
Gli anni ’20 e ’30 sono turbolenti per il calcio argentino, con vari scismi fra le federazioni e campionati creati e poi soppressi; l’Argentinos vive di alti e bassi, passando dall’ottimo secondo posto del 1926 alla retrocessione del 1937, con in mezzo una fusione poi sciolta con il Club Atlético Atlanta. Inaugurato il nuovo stadio nel 1940, i Bichos vincono il campionato cadetto ma la promozione viene loro negata per inadeguatezza del nuovo impianto agli standard richiesti per la massima serie. La doccia fredda si ripete nel 1948, quando uno sciopero porta all’interruzione e successivo annullamento dei play-off promozione che i biancorossi stavano dominando.
Nel 1955 l’Argentinos torna finalmente in Primera División e nel 1960 arriva ad un passo dal trionfo nazionale, finendo solamente due punti dietro all’Independiente.

L’avvento del Pibe de Oro e i primi successi

Il 20 ottobre del 1976 è una data storica per l’Argentinos e per il calcio: debutta Diego Armando Maradona. Durante la partita con il Talleres il futuro Pibe de Oro, dieci giorni prima del suo 16° compleanno, diventa il più giovane calciatore ad esordire nella massima serie argentina. L’allenatore Juan Carlos Montes lo manda in campo dopo avergli detto: “Vai Diego, gioca come sai” e Maradona, per tutta risposta, si presenta al mondo eseguendo subito un tunnel al primo avversario che incontra sulla sua strada, Juan Domingo Patricio Cabrera. Sarà il primo di una lunghissima serie. La partita per la cronaca viene vinta dagli avversari per 1-0, ma la leggenda di Diego è iniziata.

Un giovanissimo Maradona con la maglia dell’Argentinos Juniors
Mandatory Credit: Allsport UK /Allsport

Tra il ’76 e l’81 Maradona segna 116 gol in 166 presenze con i biancorossi, vincendo ripetutamente la classifica marcatori del campionato e per due volte il Pallone d’Oro sudamericano. L’Argentinos grazie al suo apporto migliora nettamente, sfiorando anche la vittoria del Metropolitano ’80.
Quando nell’81 Diego passa al Boca il ricavato della cessione permette ai Bichos di costruire una squadra vincente a lungo termine, investendo su giocatori promettenti.
I risultati non tardano ad arrivare: nel 1984 l’Argentinos trionfa nel Metropolitano, conquistando il primo titolo della sua storia sotto la guida del tecnico Roberto Saporiti, succeduto allo scomparso Ángel Labruna, che l’anno prima aveva avviato il progetto vincente. Un anno dopo, con José Yudica al timone, arriva anche la vittoria nel campionato nazionale. Qualificatosi alla Copa Libertadores, l’Argentinos raggiunge la finale insieme ai colombiani dell’América de Cali e, dopo un 1-0 a testa nelle partite di andata e ritorno, corona il suo ciclo vincente aggiudicandosi la sfida di spareggio ai rigori.

Gonfiabile ritraente Maradona utilizzato per l’ingresso in campo dei giocatori (Photo by Marcelo Endelli/Getty Images)

El Semillero

Gli anni successivi vedono un declino dei biancorossi in termini di risultati, partendo dalla sconfitta ai rigori contro la Juventus nella Coppa Intercontinentale 1985 (seguita comunque l’anno dopo dalla vittoria nella Copa Interamericana) per arrivare alle retrocessioni del ’96 e del 2001, dopo due salvezze ottenute per il rotto della cuffia.
Nel frattempo però ciò che regala soddisfazioni è il settore giovanile del club, che si conferma di assoluto livello. Le Cebollitas (Cipolline), la squadra giovanile, sforna infatti giocatori di valore a ripetizione. Dopo Maradona è infatti la volta di Sergio Batista, primatista di presenze nei biancorossi con 272 apparizioni e campione del mondo nell’86. Dopo di lui è la volta di un centrocampista dal mancino telecomandato, con un’intelligenza di gioco fuori dal comune: Fernando Redondo. A loro si aggiunge un fenomeno come Juan Román Riquelme, fra i migliori centrocampisti argentini della storia. L’elenco potrebbe continuare per giorni, con giocatori come Esteban Cambiasso, Juan Pablo Sorin, Fabricio Coloccini…

L’Argentinos Juniors (Photo by Amilcar Orfali/Getty Images)

Il segreto del Semillero Sergio Batista lo spiega così: “Controllo, controllo, controllo. Stop, controllo, passaggio. Stop, controllo passaggio…”
Prodotto del settore giovanile che merita una menzione a parte è Claudio Borghi, grande protagonista della finale di Copa Intercontinentale persa contro la Juventus. El Bichi, diventato allenatore, viene chiamato sulla panchina biancorossa nel 2009 dopo una serie di annate difficili per l’Argentinos. Nonostante l’obiettivo sia una salvezza tranquilla, nonostante l’avvio sia complicato, la squadra ingrana la marcia giusta e va a vincere il torneo di Clausura 2010, conquistando il suo terzo titolo grazie ad una memorabile rimonta da 1-3 a 4-3 nel finale della penultima giornata, contro l’Independiente.

Gabriel Hauche esulta dopo un gol (Photo by Rodrigo Valle/Getty Images)

Gli anni 2010 vedono nuovamente una squadra un crisi di risultati e riprende l’altalena di retrocessioni e promozioni, con continui cambi di allenatori, ma la certezza del Semillero resta.
Come ormai consuetudine infatti, il settore giovanile continua a sfornare talenti. Fra i più interessanti ci sono Nicolás González, ala 22enne in forza allo Stoccarda, quest’anno già autore di 3 reti in 5 presenze, e Nehuén Pérez, difensore centrale classe 2000 acquistato dall’Altetico Madrid ed ora in prestito al Granada.
C’è poi un dato che è emblematico: si parla spesso dell’Ajax che dal 1982 mette in campo in ogni partita almeno un giocatore proveniente dalle proprie giovanili; ebbene, l’Argentinos Junior lo fa dal 1979.
Niente male, davvero niente male.
Soprattutto perché fra essi c’è stato Diego Armando Maradona.