(Photo by Francesco Pecoraro/Getty Images)

Quando ieri è arrivata la sentenza, attesissima, sul ricorso del Napoli, che si era visto assegnare la sconfitta a tavolino (0-3) e la penalizzazione di un punto, per non essere sceso in campo contro la Juventus a Torino lo scorso 4 ottobre, dalle parti di Castelvolturno De Laurentiis ha fatto fatica a contenere la rabbia. Non che la decisione della Corte sportiva d’Appello della Federcalcio sia arrivata inattesa, ma le motivazioni, come racconterà il successivo comunicato della società partenopea, delineano un quadro difficile da accettare.

Nel caso Napoli, forse, più che la sentenza, lascia una certa perplessità la motivazione. In sede di giustizia sportiva, che sarebbe andata così, c’era da aspettarselo: come ha ricordato, fino allo sfinimento, il presidente della Figc Gabriele Gravina, “il protocollo c’è, basta leggerlo e applicarlo, se qualcuno lo applica in maniera difforme viene deferito”. Ecco, da questo punto di vista, i distinguo, gli strepiti, le casistiche infinite, non trovano spazio. Per il protocollo Juventus-Napoli si doveva – e si poteva – giocare, a prescindere dall’opinione delle Asl.

Certo, direte voi, e il focolaio Genoa? Avrebbe rappresentato un precedente difficilissimo da gestire, rispetto al quale il Napoli ha forzato la mano. Pensando, ed è questo che non sembra “calcolare” la Corte sportiva d’Appello, di stare nel giusto. Tra le righe, ma neanche troppo, ne esce una società che, furbescamente, ha provato a non giocare una partita, e nient’altro. E se la verità stesse nel mezzo? Il Napoli si è mosso male – rivolgendosi alla Asl e sottostimando il ruolo della Federcalcio – pur in buona fede. Le cose, per la giustizia sportiva, difficilmente potrebbero cambiare, ma il volto della società, di De Laurentiis e della squadra, quantomeno, ne uscirebbe pulito, come è giusto che sia.

Adesso, la palla passa al Coni, e su su fino alla giustizia ordinaria, per ristabilire, se non la giustizia del calcio, almeno quella ordinaria. Che, comunque, continua a mostrare falle da ogni parte. Ieri, infatti, i convocati della Fiorentina, fermati in Toscana dalla Asl, hanno fatto le valigie e raggiunto le proprie Nazionali. Con la società di Commisso costretta a comunicare alle autorità sanitarie la forzatura dei propri giocatori. Una situazione paradossale.

Così come è paradossale, ma perfettamente all’interno del regolamento, per quanto assurdo sia, che la Roma si sia vista confermare la sconfitta a tavolino contro il Verona. Diawara non era inserito nella lista giusta, non c’è scampo. Una svista, per la quale la società giallorossa non ha goduto di alcun beneficio, ma le regole sono le regole.

Intanto, sul tavolo rimane la più calda e intricata delle questioni, quella legata ai tamponi della Lazio, riprocessati da un laboratorio terzo stanotte. Dei tre casi dubbi, uno, quello di Strakosha, sembra aver dato risultato positivo. Dopo giorni di campagna mediatica, però, anche in questo caso la domanda è la stessa: a chi, all’interno della società capitolina, avrebbe fatto gioco “barare” sui tamponi? A nessuno. Perché nessuno è tanto folle da mettere in pericolo i propri calciatori. E se fosse stato un semplice errore, tra migliaia di tamponi processati in questi mesi? Ipotesi troppo banale? Forse, ma a volte la risposta ce l’abbiamo sotto agli occhi, senza scomodare teorie del complotto e ipotesi fantasiose, che spesso non rispondono ad alcuna logica.