Lo sfogo di Petrachi: “Io solo contro tutti”

L’ex direttore sportivo della Roma non le manda a dire, e a quasi due mesi dal licenziamento, uno degli ultimi atti della gestione Pallotta, decide di raccontare la sua verità, in una lettera aperta affidata dall’Ansa.

Gianluca Petrachi, arrivato alla Roma quest’anno dopo dieci anni al Torino, era stato dapprima sospeso dall’incarico il 18 giugno, a seguito un messaggio offensivo del ds nei confronti del presidente James Pallotta (con cui i contrasti andavano avanti da mesi), per poi essere licenziato per giusta causa il mese successivo.

Ora Petrachi ha deciso di raccontare la sua versione dei fatti, raccontando di una società lontana dalla squadra, accusandola di averlo lasciato solo a gestire i rapporti con lo spogliatoio. Si difende dalle accuse ribadendo di aver agito solo per il bene della Roma, come quando, nella sfida di ritorno contro il Sassuolo e sul risultato di 3-0 per i neroverdi all’intervallo, ha deciso di scendere negli spogliatoi. E augura buon lavoro a Friedkin, nella speranza che non ripeta gli errori di Pallotta.

 

Qui di seguito il contenuto della lettera di Gianluca Petrachi, inviata oggi all’Ansa.

Sta per iniziare la nuova stagione agonistica e, pur trovandomi forzatamente fuori dai giochi, voglio ringraziare i giocatori e i tifosi della Roma.
Prima di tornare a parlare ho preferito attendere quasi due mesi dopo gli eventi traumatici e ingiusti che ho vissuto: dalla sospensione, passando per l’esonero, fino al termine della mia avventura, conclusasi con il licenziamento. Naturalmente nelle sedi competenti i miei avvocati di fiducia faranno valere le mie ragioni.
Tuttavia, ritengo opportuno tutelare la mia immagine, andando oltre la delusione e il rammarico provati a causa dei provvedimenti assunti dalla società nei miei confronti. Ho finito, paradossalmente, per pagare a caro prezzo l’eccesso di fedeltà verso una proprietà che mi aveva fortemente voluto, e che mi aveva legato a sé con un contratto importante, volto a realizzare un progetto triennale, che aveva degli obiettivi da raggiungere: rendere la Roma più giovane e vincente riducendo i costi di gestione.
In tal senso, fino a gennaio ho potuto operare in modo efficace. Infatti, con le cessioni di 15 giocatori e con l’inserimento dei nuovi acquisti, è stato creato un gruppo omogeneo, equilibrato e competitivo, e non è un caso se ben 7 elementi acquisiti sul mercato sono diventati titolari, gli stessi che avrebbero poi dovuto rappresentare lo zoccolo duro di una squadra che dopo la vittoria contro la Fiorentina era saldamente al quarto posto in classifica.
Purtroppo però, quando ho tentato di alzare un muro, di mettere uno scudo a difesa del gruppo, mi sono ritrovato solo contro tutti. Sono stato abbandonato da una proprietà troppo distante da Roma, dalla Roma e dai tifosi. Sono stato lasciato solo a combattere una lotta che non potevo portare avanti senza il supporto di chi doveva essere al mio fianco. D’altronde, le battaglie da soli non si vincono, e a quel punto ho capito di non poter portare avanti il progetto per cui ero stato scelto. E questo ben prima che manifestassi al presidente Pallotta il mio disappunto per non essere stato neppure citato nella sua intervista. Avevo chiesto alla proprietà di allontanare gli elementi che violavano i segreti dello spogliatoio e del campo o, ancor peggio, che minavano i rapporti interni. Come quando, ad esempio, inventarono addirittura un litigio tra me e Dzeko. Quegli stessi elementi che, lavorando nel gruppo, avrebbero dovuto dimostrare fedeltà alla causa della Roma, rispettando il sacro silenzio dello spogliatoio, e che, invece, hanno preferito rendere pubblico l’esperimento della difesa a tre deciso da Fonseca, oppure l’infortunio riportato da Pellegrini. Evidentemente ho sbagliato io quando ho chiesto alla proprietà di eliminare questi elementi. E magari secondo qualcuno, avrei dovuto pure evitare di andare nello spogliatoio nell’intervallo del match con il Sassuolo sul 3-0, per spronare i giocatori a non calpestare la stessa loro dignità. Vedere una squadra da me costruita essere umiliata così è stato un colpo al cuore, e se quella sera sono sceso nello spogliatoio l’ho fatto solo ed esclusivamente per la Roma e per i suoi tifosi, soprattutto per quelli che nonostante l’enorme delusione erano lì e non smettevano mai di cantare.
Sì, già a gennaio, a fronte anche di un programma di ulteriore ridimensionamento ordinato del presidente Pallotta, ho capito che non sarebbe stato semplice realizzare quel progetto triennale che mi era stato affidato solo pochi mesi prima. Alla fine mi è stato fatto pagare un conto esagerato, e questo solo per aver difeso la Roma dentro e fuori dal campo, facendo solo gli interessi della squadra.
Tuttavia, taluni hanno voluto bocciarmi per i miei limiti nella comunicazione, alcune volte troppo diretta, ma sempre sincera. Quello che posso dire però, è che resterò orgoglioso del lavoro svolto fino ad oggi nella mia carriera e anche nella Roma.
Infine, faccio i miei migliori auguri a Dan e Ryan Friedkin e a tutta la nuova proprietà, nella speranza che riescano fin da subito a capire che questa città e questi tifosi hanno bisogno di una grande squadra che possa tornare il più presto possibile alla vittoria. Roma merita questo.