Editoriali
Mourinho-Roma, polemiche in ritiro: cosa cambia dopo la conferma di Algarve

Albufeira giallorossa. Si torna al punto di partenza, sempre lui: Josè Mourinho che fa e disfa i contorni di un destino. Quello romanista, altalenante e ottimista per definizione, che attraversa varie fasi. Arrivato a Roma ha vinto portando a casa un trofeo UEFA che mancava da tempo, poi però tanti interrogativi, altrettanti infortuni, qualche dubbio sul gioco e sul mercato. Normale amministrazione o quasi per una piazza umorale come quella capitolina: la colpa, se Mourinho è al centro di rumors e voci di mercato, non è dei tifosi che sono compatti al fianco dello Special One.
Come dimostrano i 60k di pubblico a ogni partita in casa e la fragorosa rappresentanza per ciascuna trasferta. Anche quelle più dolorose: Cremona in primis, poi c’è l’Olimpico tinto di biancoceleste nel secondo Derby perso. Un anno completamente a digiuno nella sera-cittadina non cancella i progetti fatti. Semmai li ridimensiona, perchè se l’obiettivo è la Champions qualcosa in più bisogna fare: un posto nell’Europa che conta si raggiunge con i risultati.
Mourinho-Roma, come stanno le cose: l’indizio del ritiro
La Roma deve tornare a farli anche in campionato. 8 sconfitte, non di fila, ma ugualmente pesanti se calcoliamo il piano delle prestazioni. Troppe disattenzioni al netto dello spettacolo, che può anche non esserci se c’è tutto il resto. Ovvero la certezza di dove si vuole andare a parare. Questa sembra esserci, l’allenatore ha ancora un anno di contratto e la fiducia della società. Aspetto più importante. Se è vero che i Friedkin pubblicamente l’hanno sempre difeso, è altrettanto plausibile pensare che intorno si siano guardati e non è detto che abbiano smesso di farlo. I nomi di Tuchel e Conte non escono a caso ed evidentemente delle valutazioni sono state fatte, forse anche qualche sondaggio. La realtà, però, è un’altra: Roma torna sui suoi passi e tende una mano al tecnico di Setubal, come a dire avanti insieme.

(Photo by FILIPPO MONTEFORTE/AFP via Getty Images)
Il ritiro in Algarve, confermato per l’estate prossima, è un chiaro segnale: la località è fortemente caldeggiata dallo Special One che si è trovato molto bene sia per le strutture alberghiere che per i campi presenti. Terreni che permettono un determinato tipo di preparazione, preferito rispetto alle consuete mete di montagna che generalmente vengono indicate. Il club è pronto a tornare in quei luoghi. Se dovesse saltare la caparra, detto banalmente, si pagherebbe una penale: la Roma non vuole arrivare a questo.
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Significa che Mourinho resta al timone. L’allenatore ha un altro anno di contratto che rispetterà. È chiaro che, se non dovesse arrivare in Champions e uscire dall’Europa League, il portoghese sarebbe sotto esame. Quel che è certo è che finché la società non si muove Mourinho resta al suo posto: la politica dei Friedkin è questa. Lo è stata anche con Fonseca. Onorare gli accordi fino alla fine, per poi eventualmente cambiare. L’esonero anticipato non è all’orizzonte. Una chiacchierata a fine stagione, in caso di imprevisti, tuttavia è lecita: la prima garanzia è il ritiro, il club giallorosso però ha bisogno delle altre. E passano anche dai risultati che determineranno le pretese sul mercato. I Friedkin hanno calato l’asso, ora puntano a vincere la mano.
Editoriali
L’Editoriale – Il Napoli si abbandona alla festa con una vittoria sulla Samp
Il Napoli vince contro la Samp nell’ultima sfida di questo campionato, dando così il via ai festeggiamenti tricolore, di seguito l’Editoriale per Calcio in Pillole.
L’Editoriale – Il Napoli si abbandona alla festa con una vittoria sulla Samp

(Photo by TIZIANA FABI/AFP via Getty Images)
Napoli e Sampdoria si congeda i da questo campionato con percezioni sul futuro, e su quel che è stato, che mai potrebbero essere più agli antipodi. Una gara che è passerella per gli azzurri e ultimo moto d’orgoglio per i doriani.
Il match è, come preventivabile, un monologo dei partenopei. Qualità e fluidità di fraseggio che giovano di una comprensibile scioltezza. Tocchi di prima, triangoli e scambi rapidi conducono gli uomini di Spalletti a corridoi raramente esplorati. La Samp non disdegna di ricercare il più classico dei colpi da contropiede, pagando però di imprecisione.
Nel secondo tempo c’è maggiore libertà dagli usuali spartiti e, di conseguenza, maggiore improvvisazione nella manovra di casa. Non ne risente il predominio territoriale del Napoli, che gestisce con tranquillità palla ed avversario. Predominio che poteva concretizzazione nella freddezza, ritrovata, del capocannoniere principe del campionato. Osimhen sale a quota 26, ed a 31 in 38 partite. Numeri del predatore.
La Samp subisce un colpo che, al netto dei numeri, probabilmente la punisce in modo eccessivo. Sino a quel momento i blucerchiati avevano denotato un buon impatto con la gara, mentale e fisico, e senza rischiare troppo. Il gol ha però l’effetto di stappare il match, con buona pace della suddetta tenuta doriana.
Cominci a un assedio nella bolgia di calore e colore (azzurro) del Maradona. La fame insaziabile del vincitore che conduce i partenopei alla ricerca di una gioia che non vuole avere fine. La foga gioca brutti scherzi a Gaetano, ma guida il missile di Simeone dritto all’incrocio dei pali. Un gol straordinario, l’ennesimo del Cholito, che fiero mostra quella maglia ai 60000 del Maradona, appunto.
Romanticismo che solo il calcio sa regalare, e che accompagna Fabio nel tripudio caldo di casa sua. Duecentodue gol, passioni, rispetto e amore per la maglia. Fabio meritava l’addio a quel mondo a cui ha saputo solo regalare nel teatro di una terra che ha sempre amato. Come un film, ma è ‘solo’ calcio.
L’Editoriale – Il Napoli si abbandona alla festa con una vittoria sulla Samp

(Photo by TIZIANA FABI/AFP via Getty Images)
Un sistema societario che mai è stato sistema. Una società che mai è stata società. Una dirigenza che persisteva nel dolo di una mano di Giuda che, scientemente e colpevolmente, accompagnava un popolo mai domo d’amore verso il baratro del buio più totale. Ostaggio di un ricatto che minacciava persino di ridimensionare la catastrofe. La Sampdoria si congeda da questo campionato con la sensazione d’aver subìto un furto: quello della propria passione.
Sul campo non poteva che consumarsi il dramma sportivo in senso lato. Il prato non poteva accogliere più che guerrieri inermi, che inesorabili raccoglievano le macerie di una consapevolezza amara. Non si negano le responsabilità di chi era chiamato a calpestare il prato. I blucerchiati legittimano l’ultima posizione con il trend peggiore in tutte le statistiche, e con il cruccio di chiudere a otto lunghezze dalla neopromossa Cremonese. Troppo, forse. Tuttavia, ci sarebbe piaciuto vedere una squadra potersela giocare in linea con le esigenze della massima serie. Si ripartirà, dunque, da un purgatorio che sarà sicuramente breve. Ad Maiora Samp, arrivederci al 2024.
Si chiude un cerchio a trentatré giri. Trentatré primavere, tra atroci delusioni e rammarichi d’incompiutezza. Un viaggio lunghissimo, dal tetto del Mondo al gradino più basso del calcio nostrano. Il lavoro, la competenza, il progetto e la pazienza. I talenti che vanno e vengono, i campioni immortali ed i traditori. Un passo alla volta il Napoli si avvicinava ad un capitolo nuovo della propria storia: l’immortalità di chi non ti aspetti. Tra lo scetticismo, le contestazioni ed i malumori Spalletti e i suoi uomini hanno costruito il preludio di un successo che porta il Vesuvio, nuovamente, su quel tetto.
Una stagione mai sotto la soglia dell’imperfettibile. Nove mesi di calcio vero, di scoperta di chi giungeva nell’ignota certezza e di vittorie. Vincere e convincere, nell’accezione più bella possibile del calcio. Questo è stato il Napoli di questi nove mesi che, siamo sicuri, i tifosi azzurri non avrebbero voluto che finissero mai. Da lassù si sta bene. Dal gradino, stavolta, più alto, per tornare a volgere per la terza volta la Coppa al cielo.
Altro
Qui c’entra poco Perrault, ma il “gatto” Spalletti avrà i suoi stivali…

Silenzi assordanti. Bocche cucite e parole non dette. O almeno mai chiarite fino in fondo. La fine del rapporto tra il Napoli e Luciano Spalletti è stata ufficializzata ieri sera direttamente da Aurelio De Laurentiis. In diretta tv (da Fazio). Il presidente ha raccontato motivi e retroscena della separazione dall’allenatore che ha guidato la squadra al terzo scudetto.
Qui c’entra poco Perrault, ma il “gatto” Spalletti avrà i suoi stivali…
Solo per te. Sarò con te. Gli slogan di Spalletti si consumano dal suo avvento all’ombra del Vesuvio. Napoletanità in barba alle napoletanerie più ampollose. Timoniere di una squadra artefice del proprio destino, rispetto a un multiverso complesso e sfaccettato che ama dividersi su ogni cosa. Luciano ha messo d’accordo tutti. Amato in maniera universale ed inesauribile, tanto da rimanerne scarico. Non c’è bisogno di “ali”, ma di “stivali”. Per ripartire, riposare, rigenerarsi.
“Non ci vogliono un paio d’ali ma un paio di stivali. Non ho da volare da nessuna parte io”, ha tuonato qualche settimana fa in merito alle dichiarazioni criptiche del patron. L’allenatore contadino, e non crediamo che Spalletti si offenda. Toscano di campagna, Spalletti è proprietario di due tenute terriere, due “fattorie” vere, ettari in cui si semina e si raccoglie, si imbottigliano vino e olio e si allevano animali, una a Montaione e l’altra a Montespertoli, sulle colline attorno ad Empoli. Questa è anche la dimostrazione che la fiaba è in grado di portarci là, in quelle profondità dove spesso è difficile arrivare per altre vie.
Un uomo semplice con aspirazioni elevatissime. Disposto a tutto pur di andare dritto per la sua strada. A costo di farsi male. È successo a ogni latitudine, anche a Napoli, dove prima gli rubavano la Panda e ora lo vogliono santo. Subito. Il ritardo è stato “scusato”, l’importante è che Spalletti abbia ottenuto quel che merita, un titolo di primo livello che lo consegna alla storia vera. Spalletti ha vinto due campionati e coppe in Russia, Coppe Italia e Supercoppe alla Roma, ma lo scudetto lo eleverà nel circolo dei grandi.
Un allenatore preparatissimo e sempre stato capace di produrre cose utili e talvolta in grado di esaltare rose non sempre all’altezza della situazione, sempre massacrato alla prima occasione utile da stampa e tifosotti (sicuramente aizzati) a testimonianza del crescente degrado del movimento calcistico nazionale, oggi protagonista “semplicemente” di un’annata perfetta in un contesto dove è evidente che ci sia grande sinergia. Napoli resta sulla pelle, sarà cittadino onorario (verrà onorato di questo “premio” per lo scudetto riportato in città dopo 33 anni), Napoli rimarrà sempre nei suoi ricordi più belli, Napoli lo “perdonerà” per questa sua dimostrazione (ulteriore) d’amore. Luciano è stato direttore d’orchestra di un gruppo meraviglioso, in una sorta di luna park della narrazione. La città, i tifosi, capiranno. Ha saputo aspettare il suo momento, se lo merita. Come merita questo “riposo”.
Editoriali
Quagliarella merita il “grazie” di tutti: perchè l’attaccante ha segnato un’epoca

Vedere Quagliarella che lascia lo stadio Ferraris tra gli applausi è un’emozione anche per chi non è cresciuto a pane e Ramazzotti (il cantante e non l’amaro) che fa fatica a capire cosa sia – più per stato che per sinossi – un’emozione per sempre. Fabio Quagliarella c’era davvero in ogni momento. Avversario per molti, compagno per tanti altri: certezza per tutti quelli che amano il bel calcio. Quello fatto di strette di mano prima che di firme e contratti.
Lui l’Italia di quel calcio se l’è girata negli anni: un cosmopolita con la Juve Stabia nel cuore e la valigia in mano. Alla Juve prestazioni importanti, portato a Torino per motivi personali che ha rivelato solo dopo: il dramma dentro casa, quando casa l’aveva trovata. A Napoli. Da dove non sarebbe mai andato via se non per cause di forza maggiore, le stesse che ha raccontato tempo dopo a Le Iene. Quando ogni problema era risolto. Non ha baciato nessun’altra maglia al di fuori di quella azzurra (del Napoli e della Nazionale), ma ha dato il massimo per chiunque.
Quagliarella, quelle lacrime hanno unito una nazione
Alla Sampdoria non ha fatto eccezione: 9 anni con Ferrero e un patto di lealtà rispettato fino alla fine. Persino quando ci sarebbe stato qualcosa da dire – e pretendere – lui non ha fatto una piega. L’attaccante ha risposto con quello che sa fare meglio: giocare a calcio. Senza stare altrove, magari sulle pagine dei giornali a dire la sua. Parlavano e parlano i fatti. Il resto si vedrà: ecco perchè adesso – che le somme bisogna tirarle davvero – nessuno sa che fare.

(Photo by Getty Images)
Intanto si potrebbe cominciare con l’asciugarsi le lacrime, per poi capire cosa fare con questo “viaggio eccezionale” intrapreso negli anni. Il ritiro è un’opportunità, ma lui non si rassegna: vuole riportare la Samp in A. Dove merita, ha detto. Quindi, l’ultima parola passa alla (nuova) società: deciderà lei se tenerlo ancora oppure no. Anche nel momento in cui poteva sbattere i pugni sul tavolo, ha preferito tendere una mano e fare una carezza. Questo si chiama sport e Fabio Quagliarella l’ha sempre fatto. Possibilmente una spanna sopra gli altri. Anche e soprattutto per questo, le sue lacrime sono anche le nostre.
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