Eric Cantona nasce a Marsiglia il 24 maggio 1966. Il padre, Albert, infermiere in un ospedale psichiatrico, gioca a calcio come portiere e abitua i tre figli a seguire l’Olympique. Eric muove i primi passi nel calcio nella sua Marsiglia, ma a 15 anni non è l’Olympique a notarlo, bensì l’Auxerre, 612 km a nord di Marsiglia. Cantona emigra al nord, nel 1981. Due anni dopo debutta in Ligue 1, nel novembre 1983. Fa la spola tra la prima squadra e quella riserve. Un anno in prestito, e poi l’esplosione.

Nel 1987 è già nel giro della nazionale, dopo aver segnato 17 reti nell’ultima stagione. Lo convoca il c.t. Henri Michel. Alla prima mancata convocazione, Eric Cantona lo prende a insulti. Esclusione d’ufficio. Michel poi fallisce la qualificazione a Italia ’90. E Cantona rientra. Dirà in un’intervista a France Football: “Il calcio è un’arte minore, io sono interessato alle arti maggiori. Voglio vivere la follia creativa dell’artista. Sono attratto dalla sofferenza, il grande artista è sempre incompreso”.

Suonano le sirene di casa. Il presidente dell’Olympique Marsiglia Bernard Tapie lo ingaggia e lo riporta nella città d’origine. Ma a Cantona bastano pochi mesi per onorare la sua reputazione. A gennaio, in un’amichevole con la Torpedo Mosca, ecco il fattaccio. Cantona viene sostituito e non prende bene il cambio. Calcia il pallone in tribuna, si toglie la maglia e la getta verso la panchina. Tapie è furioso: “Gesto inqualificabile. Se ce ne sarà bisogno, lo ricovereremo in una clinica psichiatrica”. Fine della luna di miele col Marsiglia. Finisce in prestito al Bordeaux. Tre mesi e mezzo e sei gol.

Tapie in estate lo spedisce in prestito al Montpellier. Qui vince la Coppa di Francia, ma sarà ricordato per una rissa da spogliatoio, in cui tira un paio di scarpe addosso a un compagno. Lo vogliono licenziare, Tapie interviene e la società si limita a una sospensione. Nell’estate del ’90 ritorna alla base e finché in panchina siede Franz Beckenbauer, fresco di titolo mondiale con la Germania Ovest, tutto bene. Poi Tapie esonera il Kaiser prende il belga Raymond Goethals, che emargina Eric. L’OM raggiunge la finale di Coppa dei Campioni, ma a Bari perde contro la Stella Rossa ai rigori. E Cantona resta a casa davanti alla tv.

Estate 91, cessione al Nimes, che per acquistare Eric Cantona usa dei fondi pubblici, visto che presidente del club e sindaco della città sono la stessa persona. 7 dicembre ’91, Eric scaglia il pallone addosso all’arbitro e se ne va negli spogliatoi senza aspettare l’espulsione. Alla Disciplinare, altro show: urla “idiota” a ogni membro. Gli danno 2 mesi di squalifica, lui annuncia il suo ritiro, poi ci ripensa: ritornerà a giocare, ma non in Francia.

(Mandatory Credit: Shaun Botterill/Allsport)

Eric Cantona: gli anni inglesi

L’Inghilterra, iniziando con il Leeds. Ci rimane 11 mesi, e vince subito il campionato. Lo nota il Manchester United di Alex Ferguson, che lo ingaggia nel novembre del 1992.

“Mi chiedo se tu sia abbastanza bravo per giocare all’Old Trafford”, gli dirà Ferguson. “Mi chiedo se Manchester sia abbastanza per me”, risponderà Cantona. La risposta sarà affermativa per entrambi. 4 Premier League, due Coppe d’Inghilterra, tanti gol e tanti assist; la maglia col colletto alzato, l’esultanza a petto in fuori e mento sporgente. Oramai è King Eric, ed è amore tra il popolo di Manchester e il ribelle francese. Non mancano le solite “cantonate”, le espulsioni per aggressione dell’avversario. E fuori campo, show continuo, irrefrenabile. Tutto ne aumenta il mito. Poi si arriva a Selhurst Park, stadio del Crystal Palace, il 25 gennaio 1995.

Cantona viene espulso per un fallo su Richard Shaw, difensore del Palace incaricato di provocarlo. Nell’uscire dal terreno, i tifosi di casa lo insultano. Uno più di altri, Matthew Simmons, ventenne di South London. Tra le altre, militante del British National Front, movimento politico inglese di stampo neofascista. “Francese figlio di puttana”, dirà. Poi viene steso da un calcio di kung fu che fa il giro del mondo. Cantona è il mostro. Ma diventa leggenda.

Cantona
(Mandatory Credit: Shaun Botterill/ALLSPORT)

La giustizia ordinaria lo condanna a due settimane di prigione, pena commutata in appello a 120 ore di lavori sociali. Quella sportiva gli infligge otto mesi di squalifica. In conferenza stampa, dice rivolgendosi ai giornalisti: “I gabbiani seguono il peschereccio perché pensano che delle sardine stiano per essere gettate in mare. Grazie a tutti”. Poi si alza e se ne va. Eric ritorna in campo a ottobre e rivince la Premier League, ma clamorosamente si ritira nel maggio del ’97, due giorni prima del 31° compleanno: “Ho giocato da professionista per 13 anni, un tempo lungo. Ora ho voglia di fare altre cose”. E così sarà, ripensamenti zero.