Nati Oggi: Zé Roberto, l’highlander del pallone

Zé Roberto

(Photo by Friedemann Vogel/Getty Images)

Il 6 luglio 1974 nasceva a Ipiranga, in Brasile, José Roberto da Silva Júnior, meglio noto come Zé Roberto. Una carriera lunghissima la sua, terminata all’età di 43 anni al Palmeiras e spesa tra la terra natìa e la Germania, con una comparsata sfortunata in Spagna, al Real Madrid.

“Giocarci era il mio più grande sogno, anche perché all’epoca il campionato spagnolo era l’unico visibile in chiaro in Brasile”. Siamo nell’estate ’96, e in blancos con Don Fabio Capello arrivano Zé Roberto e Roberto Carlos per la corsia di sinistra. Ma è l’ex-Inter a finire in cima alle preferenze del tecnico. Per Zé Roberto, un anno e mezzo con tanta panchina. Seguito dal ritorno in Brasile.

E così, il grande sogno chiamato Real Madrid dura pochissimo. “Ci misi molto ad ambientarmi, non è stato facile”. Il ritorno al Flamengo, suona come una bocciatura. La chiamata del Bayer Leverkusen, che già avrebbe voluto Zé Roberto un anno prima, è un secondo treno che ferma nello stesso posto e allo stesso orario. E il brasiliano, nell’estate del 1998, poco prima di partecipare alla fase finale dei Mondiali francesi con la Seleção, ci sale e inizia la prima fase della sua lunga avventura in Germania. Non se ne pentirà, nonostante il triplo insuccesso del 2002 rimasto nella leggenda, quando il Bayer perse nel giro di poche settimane Bundesliga, Coppa di Germania e Champions League.

Zé Roberto
(Photo credit should read JOHN MACDOUGALL/AFP via Getty Images)

Zé Roberto: gli anni al Bayern Monaco

Dopo il Bayer, il Bayern. Qui sì, Zé Roberto fa incetta di trofei: nei suoi primi quattro anni a Monaco manca la Bundesliga solo una volta, per dire. E che al Bayern non sia uno qualunque, lo si nota chiaramente dal fatto che i tedeschi decideranno insolitamente di riportarselo a casa nel 2007, a 33 anni, dopo averlo perso a parametro zero 12 mesi prima, strappandolo dalla cullante idea di trascorrere una pensione dorata in Brasile. Saudade al rovescio. Anche perché il nostro è un esempio di disciplina oggi, figuriamoci ai tempi: ha superato la trentina, ma gioca Germania 2006 da titolare, centrocampista centrale con Emerson alle spalle del quadrato magico Ronaldinho-Kaká-Adriano-Ronaldo, e nonostante il naufragio della squadra di Carlos Alberto Parreira viene inserito dalla FIFA nella top 11 del torneo. Nel pasticcio tecnico-tattico di quel Brasile, è prezioso e poliedrico elemento equilibratore, fra i pochi disposti al sacrificio.

Con la Seleção Zé Roberto gioca due edizioni dei Mondiali, nel 1998 e nel 2006. In mezzo, c’è Giappone e Corea del Sud 2002. Ma Zé Roberto lì rimane a casa. Non viene convocato da Scolari e guarda i suoi connazionali alzare la coppa, poche settimane dopo aver perso tutto il perdibile con il Bayer Leverkusen. Un anno maledetto. Che però proseguirà col trasferimento a Monaco di Baviera e l’inizio di una vita nuova e vincente.

Nel frattempo, tra club e Nazionale, Zé Roberto continua a spostarsi in campo come una trottola. Inizia da terzino sinistro, prosegue da esterno di centrocampo, lo si vede in mezzo al campo. Al Santos, esperienza breve, intensa ma conclusa ancora una volta a un passo dalla gloria (semifinale di Copa Libertadores nel 2007), indossa un’inedita maglia numero 10 che gli sarà consegnata anche al Gremio qualche anno più tardi. Viene piazzato da Luxemburgo nella posizione di trequartista nell’ormai demodé 4-2-2-2 alla brasiliana, riceve libertà assoluta di movimento e in seguito confesserà: “Neppure io sapevo di essere in grado di giocare lì”.

Nonostante l’età che avanza inesorabile, nel 2015 nessuno si stupisce quando il Palmeiras, in piena ricostruzione economica grazie al denaro dello sponsor Crefisa dopo anni bui e una retrocessione in seconda serie, decide di puntare su di lui. Il quasi quarantenne Zé si presenta come uomo guida e, prima dell’esordio con la nuova maglia, dà spettacolo negli spogliatoi con un lungo discorso alla squadra rimasto nella storia: “Dobbiamo prepararci per la guerra. Oggi comincia una guerra che noi vinceremo. Il Palmeiras è grande”. 

Il finale di carriera è il tempo dei record. Uno lo ha già ottenuto nel 2011, all’Amburgo, sua terza squadra in Germania. Diventa il calciatore straniero con più presenze in Bundesliga (poi sarà superato da Claudio Pizarro, suo ex compagno al Bayern).  Nel 2016 conquista il Brasileirão col Palmeiras a 42 anni, superando il precedente primato stabilito quattro decenni prima dal portiere Manga, campione con l’Internacional a 39. Un anno dopo segna in Copa Libertadores, come nessuno mai prima e, forse, neppure dopo. Alla fine della sua ultima partita, un anonimo 2-0 al Botafogo nel novembre del 2017, nello spogliatoio piangono praticamente tutti.

La leggenda dell’highlander di Ipiranga, prosegue anche dopo il ritiro dalle scene. Su Instagram sfoggia consigli su alimentazione e un fisico da culturista. Sempre attivo, come in campo. Anche a 47 anni. “Lo sono sempre stato – ha detto a ‘ESPN Brasil’ durante la quarantena – sono uno che cerca sempre di superarsi, giorno dopo giorno”. Anche perché “non si può restare sempre con un joystick in mano e una tavoletta di cioccolato sulle gambe”. Capito il personaggio?