In questo primo calciomercato dell’era Covid-19, la Serie A, dopo il sogno breve ma infranto di poter vedere Leo Messi in nerazzurro, potrebbe festeggiare l’arrivo di affermati campioni dall’estero, come Luis Suarez (33 anni), Javi Martinez (32) e Olivier Giroud (33). O potremmo assistere al ritorno in Italia di ottimi giocatori, già visti con le nostre “grandi”, tra cui Arturo Vidal (33), Edinson Cavani (33), Mario Mandzukic (34) e Sokratis Papastathopulos (32).

L’età avanzata di tutti i menzionati rappresenta il minimo comun denominatore di una tendenza che già da qualche anno vede i top club del campionato investire su giocatori di caratura internazionale seppur con qualche primavera di troppo sulla carta d’identità, chiamati a prendere l’ultimo (o penultimo) treno delle rispettive carriere. Con l’arrivo di Cristiano Ronaldo (a 33 anni), questo fenomeno ha toccato l’apice, dopo stagioni in cui i venti del Nord hanno spinto verso lo Stivale altri over 30 di tutto rispetto come, tra gli altri, Diego Godin (a 32), Frank Ribery (36), Ashley Young (34), Laasse Schone (33), Steven Nzonzi (30), Henrik Mkhitaryan (30), oltre ai “cervelli di rientro” Ibrahimovic (39), Llorente (34), Sanchez (30) e Boateng (32), ma non solo.

Ma come mai i Direttori sportivi della nostra massima serie preferiscono virare sull’ “usato sicuro” dall’estero – talvolta spendendo fior fiori di quattrini – piuttosto che investire sui giovani e valorizzare i frutti dei propri vivai?

Per ragioni economiche, in primis. Nessun team in Italia (solamente la Juventus, forse) può permettersi di competere economicamente con le big del panorama continentale, investendo su giovani fenomeni stranieri per cui vengono richieste cifre monstre, vedi gli inarrivabili 100 milioni di recente spesi dal Chelsea per un Kai Havertz od oltre 70 per Erling Haaland dal Dortmund.

Per ragioni di visibilità, sicuramente. Puntare su un nome altisonante può essere un’ottima strategia di comunicazione e marketing per ampliare il valore del brand: l’acquisto di CR7 consente ormai da due anni alla Juventus di assicurarsi una vera e propria “azienda nell’azienda” di carattere globale, che ha assicurato un importante “boost” alla reputazione del marchio.

Si investe sugli over 30 per una questione di esperienza e di valori che possono apportare tanto sul rettangolo verde quanto in palestra, ma soprattutto nello spogliatoio, a far da chioccia ai più giovani: si pensi ai “trucchi del mestiere” che un qualsiasi Godin, campione “di tutto” con l’Atletico di Madrid, possa aver trasmesso a un Bastoni in rampa di lancio.

Per ragioni di opportunismo, senz’altro. Prendere un Pedro o un Mandzukic, meglio se a parametro zero, anche se reduci da infortuni che ne potrebbero mettere a repentaglio la tenuta fisica nel corso dell’anno, potrebbero rappresentare buoni affari.

Mille buone ragioni, dunque, per affidarsi agli Over 30, anche nell’era Covid. Ma questa strategia pagherà per sempre?

In campo internazionale, difficile. Il Bayern Monaco è diventato campione d’Europa 2020 con una media anagrafica della rosa pari a 25,3 anni, una squadra rodata, atleticamente preparata e dai meccanismi oliati, con soli 3 Over 30 (Neuer, Boateng, Perisic) tra i titolari.

Nell’ultima annata 2019/2020, in una Serie A in cui l’età media è stata di 26.6 anni, la Juventus vincente era la più “anziana” tra le venti, con una media anagrafica di 28,8.

Oggi, con molte squadre indebitate, un mercato a prezzi ribassati e un campionato con gli spalti vuoti ormai alle porte, conviene investire su un Suarez o un Cavani anziché lanciare ad alti livelli un Kulusevski?, conviene ingaggiare un Papastathopoulos anziché valorizzare un Luperto?, conviene rinnovare per un anno un Ibrahimovic a un passo dai 40 piuttosto che porre un Rafael Leao al centro dell’attacco e del progetto?

Dubbi da conflitto intergenerazionale.