Protocolli, laboratori e bolle: adesso è vero caos

(Photo by FRANCK FIFE/AFP via Getty Images)

 

 

Quanto accaduto nell’amichevole dell’altro ieri tra Croazia e Turchia, quando il difensore croato Vida è stato sostituito a fine primo tempo perché positivo al Covid, ha del grottesco. Ma fotografa anche, alla perfezione, il momento che sta vivendo il mondo del calcio. Anticipato dalle vicende di casa nostra, dove le Asl, proprio in vista delle partite delle Nazionali, avevano bloccato i giocatori di Fiorentina, Roma e Lazio. Divieto che non ha impedito ai calciatori stranieri di rispondere alle convocazioni, mostrando tutta la fragilità di un protocollo, che pure nasce con le migliori intenzioni.

In Italia, un caso come quello di Vida, sceso in campo in attesa dell’esito dell’ultimo tampone, e poi sostituito, non sarebbe mai potuto accadere. In caso di positività, scatta l’isolamento, e il gruppo squadra si rinchiude nella bolla. Già, una bolla che sembra una forma di Groviera. E non da oggi. Sotto la lente della Procura Federale, al momento, c’è la Lazio. Ieri è stato sentito il medico sociale della società biancoceleste, Pulcini, proprio sul rispetto dei protocolli e sulle comunicazioni con le Asl. Pane per i giornali, che da giorni sui tamponi delle Lazio ricamano e cuciono.

Ma a ben vedere, di situazioni simili ce ne sono diverse. Lo stesso Cristiano Ronaldo, tanto per fare l’esempio più altisonante, ha lasciato Torino appena riscontrata la positività al Covid. E la bolla non ha trattenuto neanche i giocatori del Napoli a Castelvolturno, quando emersero le positività di Zielinski ed Elmas, proprio alla vigilia del big match contro la Juventus. Fino ad arrivare all’attualità dei giocatori della Fiorentina, che hanno lasciato Firenze, violando la bolla, per raggiungere le proprie Nazionali. Con il club che si è ritrovato a dover “denunciare” – ma il termine è evidentemente eccessivo – i propri giocatori alla Asl. Sottolineando, come ha fatto il direttore sportivo Daniele Pradé, che la Fifa obbliga i club a lasciar partire i tesserati.

La situazione è ingarbugliata, e ogni giorno che passa lo è un po’ di più. Ci vuole uno sforzo congiunto per sbrogliare una matassa che rischia di avviluppare il calcio e renderlo ogni giorni meno credibile e godibile. Eppure, per mesi le cose hanno funzionato, anche in virtù di un contesto ben diverso. I casi, nel mondo reale e in quello del pallone, erano decisamente meno, c’era la fiducia che tutto sarebbe finito presto, e perlomeno gli impegni delle Nazionali erano stati messi in stand by. Oggi, invece, il clima è teso, e i numeri parlano, per la sola Serie A, di 104 giocatori contagiati sin qui.

La bolla, insomma, è scoppiata da un po’. E tra le pieghe dei protocolli ci sono altri punti da chiarire. Il primo riguarda i laboratori di analisi e la gestione dei tamponi. Di mezzo, sono finiti i mitici tamponi di tre giocatori della Lazio, Immobile, Strakosha e Lucas Leiva, positivi per la Uefa e negativi per il laboratorio di Avellino che, da maggio, processa i test dei biancocelesti. Subito si è gridato al dolo, alla furbata, al solito Lotito, ma la realtà, come sempre, è un po’ più complessa di un titolo di giornale. Le controanalisi sono ancora in corso, ma è difficile ipotizzare che ci sia una qualche responsabilità del club. Che, semmai, può aver sbagliato nella gestione delle quarantene e nelle comunicazioni alle Asl, anche in virtù dei verdetti “ballerini” dei tamponi in questione.

Questione di protocollo, che nella sua applicazione si scontra con la realtà e la casistica, perlopiù imponderabile. Centrale, in tutto questo, il ruolo delle Asl, il loro potere decisionale e modi e tempistiche nelle quali l’autorità sanitaria può intervenire. È a questo che sono appese le speranze del Napoli di ribaltare, in sede di Collegio di Garanzia del Coni, il verdetto della Corte di Appello Sportiva, che ha confermato lo 0-3 a tavolino (e un punto di penalizzazione) nella partita, non giocata, contro la Juve.

La linea difensiva dei partenopei poggia sulle comunicazioni della Asl, ma la Figc, di tutt’altra opinione, e starebbe valutando il deferimento da parte della Procura Federale. Come scrive Repubblica, il giudice Sandulli, “in secondo grado non si è limitato a respingere il ricorso del club azzurro ma ne ha censurato il comportamento arrivando a parlare di “preordinata e di slealtà sportiva”. Adesso la procura della Federcalcio dovrà decidere se incriminare il Napoli anche con questa accusa, più grave, o solo per violazione del protocollo”. Già, il protocollo, un totem decisamente insufficiente a rispondere alla complessità dell’oggi.