SuperLeague, la guerra dei comunicati che non ha vincitori

Guerra

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Da una parte l’Uefa, Ceferin, la Fifa, Infantino ed il “calcio del popolo” quello da difendere, quello da salvaguardare. Dall’altra la SuperLeague o ciò che ne resta: il progetto di un super torneo con ricchi premi e cotillon che permetterebbe ai club più ricchi di restare tali e continuare ad accrescere i loro business. La guerra è su due fronti: ideologica e di potere. Solo che la prima vive solo nella testa dei tifosi, mentre percorrendo la seconda nella strada intrapresa, l’unica meta è quella della distruzione del calcio. La guerra continua, ma, comunque andrà, non ci saranno vincitori.

La guerra ideologica

La guerra ideologica, come detto, è tra il “calcio del popolo” e quello dei ricchi. E questa è la guerra dei tifosi scesi in strada in Inghilterra, quello che, assieme alle pressioni del governo inglese ed ai conseguenti dietrofront di Liverpool, Arsenal, Manchester United, Manchester City, Tottenham e Chelsea, seguiti poi da Atletico Madrid, Inter e Milan, hanno distrutto il progetto SuperLeague. E’ la difesa di un calcio che, in fondo, non esiste o forse non è mai esistito, ma a cui si appigliano anche l’Uefa e Ceferin per stare dalla parte della ragione, della giusta causa.

Se il calcio del popolo non esiste, però, è pur vero che le attuali competizioni europee, i campionati nazionali e tutti i tornei, almeno all’apparenza, sono aperti a tutti e tutti possono sognare la vittoria. Pensare di strappare via questo sogno in modo autoritario è bastato a far scattare la rabbia del popolo: il calcio è dei tifosi… o almeno loro vogliono credere che sia così.

La guerra dei ricchi

In realtà la guerra è tra un’organizzazione che tiene in mano il calcio da anni, se non da sempre, e tra alcuni club che, stanchi dell’egemonia di quest’organizzazione, sorda alle richieste di rivoluzionare gli attuali tornei continentali e di modificare le ripartizioni delle ricchezze, cercano, o hanno cercato, di farsi ricchezza da sè. La missione non è riuscita perché organizzata male e comunicata peggio. La SuperLeague è stata un sogno di una notte di mezza primavera, iniziato con una serie di comunicati e durato quanto la vita di una farfalla. Solo che, come il battito di una farfalla può provocare un uragano dall’altre parte del mondo, anche la SuperLeague ha scombussolato inevitabilmente il mondo del calcio. E proprio quando i campionati e le stesse competizioni continentali si apprestano ad assegnare i loro titoli, quasi ovunque con finali avvincenti, l’attenzione del calcio va alla guerra tra due fazioni, due ricchezze, due potenze: le superstiti della SuperLeague, Juventus, Real Madrid e Barcellona, e l’Uefa.

La guerra dei comunicati

La Uefa ha chiarito la sua posizione in un comunicato che “perdona” i nove club che hanno rinunciato ufficialmente alla SuperLeague e “minaccia” ancora i tre club che invece continuano a tenerla in vita. In pratica le sanzioni dell’Uefa ai nove club “pentiti” saranno di una multa di 15 milioni di euro da donare al calcio giovanile, una riduzione del 5% dei ricavi dalle competizioni europee e un’ammenda di 100 milioni in caso di nuova partecipazione a competizioni non riconosciute dall’Uefa.

Dall’altra parte, la rabbia di Real Madrid, Barcellona e Juventus va non solo verso l’Uefa, ma anche contro quei nove club che hanno fatto dietrofront venendo meno agli impegni ed ai valori insiti nella stessa SuperLeague. Valori in cui si fa riferimento anche al calcio stesso ed al suo futuro. Valori che persistono e che costringono Real Madrid, Barcellona e Juventus nel continuare nel loro progetto. La SuperLeague non è ancora morta, insomma.

Proprio per questo, la Uefa è pronta ad escludere i tre club scissionisti dalle prossime due stagioni di competizioni europee. Il danno oltre la beffa. Per Juventus, Barcellona e Real Madrid sarebbe una disfatta, ma a perdere sarebbero anche i tifosi delle squadre in questione e quelli del calcio in generale. Una guerra senza vincitori, che persiste nel nome del calcio… quello del “popolo”.