Il calcio si faccia da parte, l’Ucraina è una cosa seria

Guerra in Ucraina

(Photo credit should read Alexander KHUDOTEPLY/AFP via Getty Images)

Cos’ha da dire una testata che parla essenzialmente (anzi unicamente) di calcio sull’invasione dell’esercito russo in Ucraina? Nulla. Ed è proprio per questo che non ci andremo a paludare in analisi originali o letture che – ad oggi – neanche il più scafato degli strateghi militari saprebbe dare. Proveremo, perciò, a contribuire con spirito di servizio, provando a diradare la nebbia che, inevitabilmente, si alzerà sull’Ucraina.

Citando, in maniera molto poco originale, il senatore californiano Hiram Johnson (un secolo fa), “Quando scoppia la guerra, la prima vittima è la verità”. Seguono, a ruota, lucidità, umiltà, equidistanza. E nel volgere di qualche giorno un popolo di virologi si riscopre fine analista geopolitico, storico, stratega. Una vera e propria mania, che colpisce chiunque, indistintamente, spingendo molti ad analisi raffazzonate, e qualche volta pietose.

Anche chi scrive di calcio, argomento complesso, profondo, ricco di sfaccettature, ma comunque nella sfera delle cose “poco importanti”. Peccato che il linguaggio e i modelli comunicativi utilizzati sui social, troppo spesso, ricalchino proprio quelli del calcio. A partire dallo schierarsi in tifoserie, come se avesse senso collocarsi a Est o a Ovest del Dniepr. Non sta a noi calarci nella cronaca di guerra, ma un consiglio ci sentiamo di darlo: informatevi (informiamoci) bene.

Il mondo, purtroppo, non ha mai vissuto un solo giorno senza guerra, e di giornalisti e istituzioni capaci di raccontarla bene, ce ne sono anche in Italia. Professionisti come Marta Ottaviani (su Twitter @martaottaviani), giornalista che alla guerra non lineare e alla Russia ha dedicato l’illuminante “Brigate Russe”. O come Nico Piro (@_Nico_Piro_), inviato del Tg3 che per anni ha raccontato l’Afghanistan con misura e rispetto. O ancora, Mattia B. Bagnoli (@MattiaBBagnoli) membro del Frontline Club e giornalista dell’Ansa. Oltre a noi, seguite loro, per capirne di più e farvi un’idea.

 La Guerra in Ucraina e il calcio

 

Il calcio, comunque, dovrà prendere decisioni delicate, e come ogni altro settore economico dimostra quanto la situazione sia complessa. E quanto, per molti anni, abbiamo ampiamente sottostimato la situazione. Il fatto, ad esempio, che lo Shakhtar Donetsk di De Zerbi, di cui abbiamo scritto spesso e volentieri, non giochi nel proprio stadio dal 2014 non è certo normale. Ma l’aspetto più spinoso riguarda sponsorizzazioni e legami che la Uefa (e la Fifa) hanno stretto con Paesi tutt’altro che democratici. Il contratto con Gazprom (da cui dipende una bella fetta dell’energia che serve all’Italia) è stato già stracciato dallo Schalke 04, un sacrificio enorme, ma giusto. Vediamo se, e quando, riuscirà a farlo la Uefa.

Intanto, il campionato ucraino, per forza di cose, è stato sospeso, mentre stasera a Siviglia il Betis incontrerà lo Zenit per i play off di Europa League. Da più parti si chiede l’estromissione dei club russi dalle coppe europee, rendendo inutile il match di stasera, ammesso che sia la scelta giusta. Scontato, invece, il cambio di sede della finale di Champions League, che si sarebbe dovuta giocare proprio a San Pietroburgo. Chissà quando e come finirà, quante macerie lascerà, e che quadro restituirà la fine del conflitto. Viene da chiedersi che senso abbia, ma la risposta, pur nella sua complessità, è abbastanza ovvia. Eppure, i popoli, a differenza dei Governi, sanno convivere molto meglio di quanto si creda: basta pensare all’Atalanta di Malinovskyi e Miranchuk che, curiosamente, lunedì affronterà proprio la Samp di Supryaga. In un incrocio tra Russia e Ucraina che, ne siamo certi, resterà tutto dentro al campo.