Fardelli d’Italia, il peso di una reputazione da ricostruire: luci e ombre del sogno azzurro

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Tutta questione di sorrisi. C’è chi dice che abituarsi alla felicità fa male, ma chi aveva il tricolore sul petto a Luglio scorso non poteva saperlo: i cori sul pullman, le notti magiche e un’Italia che si ricostruiva (anche) grazie ai trionfi sportivi. Abituarsi può essere controproducente, ma molti – quasi tutti – hanno pensato che per una volta fosse bello così. Godersi il momento senza pensare al dopo: tutto sembrava perfetto e al suo posto.

La Macedonia ci ha riportato con i piedi per terra facendoci risvegliare bruscamente da un sogno azzurro, interpretando il ruolo – ingrato, ma salvifico – della madre che alza la tapparella mentre stiamo vivendo gli attimi più belli immersi fra sogni che aspettavamo forse da una vita. La realtà è un’altra cosa: è applicazione costante e soprattutto è la capacità di capire che non si è mai abbastanza pronti.

Fardelli d’Italia, il “peso” di essere Campioni

Italia Germania
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Gli azzurri l’hanno pagata cara sulla pelle, questa sbornia post Wembley, quando nello stesso stadio arrivano tre gol dall’Argentina. La Seleccion ha passeggiato contro i Campioni d’Europa in carica, qualche cenno di riscatto contro la Germania ma non è bastato. Gli eroi dell’Europeo sono tornati ad indossare gli abiti “civili” e la rendita non basta più. Anche Mancini ha detto che occorre iniziare un nuovo ciclo.

Lo si capisce (anche) dai numeri di maglia: Donnarumma abbandona il 21 – finito il tempo del blackjack e della baldoria – per prendere l’1 di Zoff e Buffon. Storia al passo con la concretezza: significa responsabilità. Quella che il portiere del PSG deve cominciare a prendersi se vuole dare una svolta definitiva alla sua carriera. Finora ha indossato i panni del predestinato: colui che ha bruciato le tappe arrivando fino all’Olimpo del calcio europeo. La parentesi parigina gli ha “tolto” i superpoteri dimostrando che il talento è una dote naturale, ma va coltivata: basta cullarsi sugli allori. Anche in azzurro. Allora la maglia numero 1 serve per capire che è finita la ricreazione. Bisogna ripartire attraverso alcune colonne e Donnarumma può essere una di queste.

La Nazionale cambia pelle: le scelte di Mancini

Stesso discorso per la dieci data a Pellegrini. Un numero che a Roma – da dove viene Lorenzo – pesa parecchio e a Coverciano non è da meno: ce l’aveva un altro Lorenzo. Quello che ritroverà la Nazionale successivamente, quando avrà già fatto qualche sgambata con il Toronto. Allora Mancini, se deve ripartire da qualcuno, aspettando gli altri big, sceglie di affidare un numero gratificante ma anche parecchio scomodo all’ex Sassuolo: Pellegrini dimostra non solo di meritarselo, ma evidenzia un fattore importante.

Il 10 è sempre stato – nel calcio – associato al genio, all’estro, all’unicità. Tutte qualità che hanno solo le leggende. Pellegrini deve fare ancora tanta strada, ma conferma – soprattutto dopo la vittoria in Conference League – che la dieci sulle spalle può avere anche un altro valore: quello del lavoro, del professionismo e della capacità. Aspetti mostrati con abnegazione e rispetto. Un 10 meno da superstar – diciamo così – e più operoso che simboleggia un’Italia vogliosa di rimboccarsi le maniche, curarsi le cicatrici e tornare più forte di prima. Dopo lustrini e paillettes è il momento della sostanza che passa anche da dettagli come i numeri di maglia, sperando che i conti tornino.