Rosario, provincia di Santa Fe, Argentina.

E’ il 1955 quando viene alla luce Marcelo Bielsa. In quel pezzo di mondo sono solo due le strade che puoi prendere, solo due vie sulle quali puoi scegliere di proseguire il cammino per il resto dei tuoi giorni: Newell’s old Boys o Rosario Central. A Rosario o nasci “leproso” oppure nasci “canaglia“, non si scappa. Marcelo Bielsa unirà il suo destino prima e la sua storia poi, ai colori rosso e neri del Newell’old Boys.

Ogni attimo o momento della sua vita vissuto in funzione di una passione, di un’ossessione, semplicemente del calcio. Perso in una “locura” quasi incomprensibile ai più, alla ricerca costante di riuscire a stare dietro ai pensieri che la sua mente, continuamente, partorisce.

“Burbero e sfuggente, posseduto dalla sua propria mente, pazzo per il calcio, sicuro della sua verità, innovativo, una personalità attraente perché incorruttibile”.

Questo scrive di lui T.Abraham, scrittore argentino.

L’ASCESA

Marcelo Bielsa, prima di diventare quello che è, è stato un calciatore, difensore di ruolo. Un giocatore non baciato dal talento che a 26 anni aveva già smesso di giocare, per seguire la sua vera vocazione, quella degli schemi e delle tattiche, quella che porta dritta in panchina per allenare. Il Newell’old Boys gli concede l’opportunità di diventare allenatore delle giovanili nel 1987. In soli due anni allestisce di persona e forma una squadra formidabile, stravince praticamente tutto. Tra le sue mani in quegli anni, passano e si formano giocatori del calibro di Sensini, Heinze, Balbo, Pochettino e Batistuta. Nel 1990 è già pronto per sedersi sulla panchina della prima squadra. Sorprende tutti con metodi di allenamento innovativi, non c’è tempo per fermarsi mai, neanche un secondo: “Non esiste un solo motivo, neppure uno, perché un giocatore in campo stia fermo. Il calcio è movimento, il calcio è correre e smarcarsi”. Questo il suo pensiero.

Vince subito due campionati argentini ma perde la finale di Coppa Libertadores contro il Sao Paolo ai calci di rigore. E’ difficile, davvero complicato provare a spiegare cosa sia stato Marcelo Bielsa per il club Rosarino, bisognerebbe entrare nella mentalità sudamericana, cosa non semplicissima. La squadra e il senso di appartenenza al di sopra di ogni altra cosa, il calcio come veicolo di rivalsa sociale. La certezza che per ragioni socio-economiche in questa vita si debba o si possa rinunciare a tutto, tranne che alla partita della propria squadra del cuore. Il Club Atletico Newell’s old Boys alla fine dell’avventura di Bielsa sulla propria panchina gli dedica lo stadio. I “leprosi” giocano le proprie partite casalinghe all‘Estadio Marcelo Bielsa davanti a 42.000 persone.

GIRO DEL MONDO E RITORNO A CASA

Dopo quell’esperienza la voglia di conoscere lo porta sulle panchine messicane di Atlas e America, su quella spagnola dell’Espanyol e su quella argentina del Velez. Nel 1999 diventa allenatore della Nazionale argentina. Arrivano i primi dolori della sua carriera. Il Mondiale Giapponese-Coreano del 2002 è un vero fallimento, l’Argentina non riesce neanche a superare il girone. Bielsa ne esce a pezzi, additato come principale responsabile della disfatta. I giocatori però sono dalla sua parte e la Federazione gli da un’altra chance. Nel 2004 si gioca la Coppa America, l‘Albiceleste arriva in finale contro il Brasile ma perde ai calci di rigore. Un’altra delusione, altre notti passate a tormentarsi l’anima. Ma ad Atene, ai giochi olimpici la Nazionale argentina trionfa, vince la follia, El Loco prende la medaglia d’oro e poi saluta tutti, a modo suo, senza incrociare lo sguardo di nessuno.

GLI ANNI CILENI 

Resta fermo tre anni, per usare un eufemismo. In realtà resta senza squadra per tre anni. Ma mai fermo. Tutto quel tempo lo trascorre a studiare giocatori in ogni angolo del pianeta, notte e giorno, in attesa di una chiamata che gli faccia vibrare ancora le corde di quell’anima inquieta. La telefonata giusta arriva nel 2007, Marcelo Bielsa diventa allenatore del Cile. Prima di sedersi in panchina conosce già vita, morte e miracoli di tutti i giocatori cileni che potrebbero tornargli utili. Nel girone di qualificazione al Mondiale del 2010, semplicemente dipinge calcio, incantando tutti. Ai Mondiali supera il girone ma viene eliminato dal Brasile agli ottavi di finale.Il tecnico di Rosario sposa completamente la causa cilena, aiuta economicamente molte associazioni e persone in difficoltà. Diventa rispettato ed amato da tutto il popolo, ma nonostante ciò decide di andarsene.

ALTRO GIRO, ALTRA CORSA

Nel 2011 va all’Athletic Bilbao. In due anni porta il club basco ai vertici del calcio europeo. Gioca una finale di Copa del Rey e una di Europa League, ma le perde entrambe. Il risultato finale secondo la filosofia di Bielsa è fuorviante e sopravvalutato. Il lieto fine, non è parte integrante del calcio.

“La relazione tra vittoria e insuccesso è stata fondamentale nella mia vita, ma vittoria e felicità non sono sinonimi, dovremmo chiarire alla maggioranza che la vittoria è l’eccezione, che gli esseri umani solo a volte trionfano. Abitualmente questi si sforzano, combattono e vincono, ma solo ogni tanto, molto di rado. La vittoria è deformante, rilassa, inganna, ci peggiora e ci spinge a innamorarci di noi stessi, il fallimento è al contrario formativo, ci solidifica, ci dona coerenza”. Questo il suo pensiero a riguardo.

IL PRESENTE

Il resto è storia dei nostri giorni, gli anni trascorsi in Francia tra Olympique Marsiglia e Lille e poi nel 2018 la panchina di una nobile decaduta: il Leeds United. Marcelo Bielsa è uno che paura non ne ha mai avuta, accetta il club inglese ed accetta di guidarlo in Championship. Nella prima stagione perde la semifinale dei playoff contro il Derby County. Ma nell’ultima annata, realizza il suo capolavoro riportando il Leeds in Premier League dopo 16 stagioni. Diventa, così, un idolo assoluto dalle parti di Elland Road. come dimostrano i numerosi murales che i tifosi gli hanno dedicato.

Sabato esordirà in Premier League sul campo del Liverpool campione d’Inghilterra in carica, ad aspettarlo c’è Jurgen Klopp. Marcelo Bielsa si presenterà a modo suo. Nervoso. Compulsivo. Frenetico. Come solo El Loco sa essere.