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Protocollo anti-covid: Serie A ed estero tra contraddizioni e dubbi

Da quando è scoppiata l’emergenza coronavirus nel mondo, costringendo i campionati a sospendersi per cinque mesi, siamo bombardati da protocolli sanitari e regole restrittive. Nel periodo di limbo tra l’ipotesi di fermare la Serie A e la crescita dei numeri del covid, tutti ci siamo chiesti se fosse possibile continuare a giocare e come.

Il campionato si è fermato, alla fine, e poi è ripartito dopo mesi. Questi mesi sono serviti a varare un protocollo sanitario che ne permettesse la ripresa in sicurezza, tanto per gli allenamenti quanto per le partite. Mesi spesi a perfezionare un iter per dare alla Serie A una nuova possibilità, trasformandola in una successione di esami e partite senza pubblico.

Lo spettacolo ne ha di certo risentito, ma l’importante – anzi, l’essenziale – è andare avanti. In ballo ci sono, infatti, molti soldi provenienti da diritti tv e accordi commerciali siglati prima di tutta questa situazione surreale, ed è impensabile che non si riesca a trovare un modo per preservarli.

Il protocollo

La FIGC, allora, ha preparato un protocollo sanitario per una ripresa in sicurezza della Serie A in tempi di covid. In tale documento si riportano indicazioni su come organizzare le attività all’interno e all’esterno dello stadio, le trasferte, gli allenamenti; nel caso di accertamento di una o più positività si rimanda alla circolare del Ministero della Salute in cui è disposto che:

  • un calciatore risultato positivo al tampone segua un periodo di quarantena di 14 giorni;
  • vengano ricostruiti i suoi contatti stretti all’interno del gruppo squadra e posti in isolamento domiciliare per lo stesso periodo di tempo;
  • il gruppo squadra subisca un esame molecolare il giorno della gara con risultati entro quattro ore, in modo che solo i negativi scendano in campo, per poi riprendere il ritiro in isolamento fino al termine del periodo dei 14 giorni.

Questo protocollo, dunque, serve a prevenire l’espansione dei contagi più che a evitarli; è precauzionale più che “ermetico”. La Serie A, allora, è ripartita facendo fronte al covid come meglio può e si arriva al termine della stagione scorsa e all’inizio di quella attuale con molti cambiamenti ma una certezza: il calcio c’è.

La riflessione dopo Napoli-Genoa

Nel corso dei mesi sono stati accertati diversi casi positivi nelle squadre di Serie A, ma non solo, e hanno tutti seguito la procedura indicata dalla Federazione. Di situazioni anomale, nel calcio nostrano, non ve ne sono state fino all’incredibile Napoli-Genoa. Com’è stato possibile che si siano raggruppati 14 casi in un regime di isolamento è ancora poco chiaro.

Il punto focale, però, è un altro: poche ore prima della partita il Genoa ha comunicato la positività di Schöne, dopo aver diffuso la notizia di Perin il giorno prima.

Il rispetto del protocollo sanitario è fuor di dubbio: una positività ha portato ad altri esami, i quali hanno fatto emergere un altro caso; il calciatore in questione non è stato incluso nel gruppo squadra della partita, alla quale hanno partecipato solamente i negativi.

Photo LaPresse – Tano Pecoraro – OneFootball

A questo punto la domanda è: il protocollo sanitario è sicuro? Naturalmente non è infallibile e non punta all’azzeramento dei contagi, ma il focolaio che si è sviluppato nei rossoblù impone una riflessione. Forse va rivisto il modo in cui si effettuano gli esami, o forse va inquadrato meglio il periodo entro cui tenere conto degli esiti positivi. Un caso di covid che emerge il giorno di gara o il giorno precedente potrebbe essere, a questo punto, il campanello d’allarme che impone il rinvio della partita in attesa di ulteriori accertamenti del gruppo squadra.

All’estero

La situazione all’estero non è meno contraddittoria di quella italiana. Dove per un mero motivo di effettivi rimasti nella rosa, dove per motivi di tempistiche, di partite inspiegabilmente non rimandate ve ne sono state parecchie. Senza tornare indietro al famoso caso di Valencia-Atalanta e del focolaio in seguito sviluppatosi negli spagnoli, nel calcio successivo allo stop per coronavirus di esempi non mancano.

Scottish Premiership

Un caso eclatante è quello accaduto in Scottish Premiership, con il St.Mirren costretto dalla Federazione a giocare nonostante avesse tutti i tre portieri isolati per covid19. Nel campionato scozzese di partite rinviate per casi di virus ve ne sono state molte, ma la decisione su questa gara specifica lascia, francamente, sorpresi.

Ligue1

Un altro esempio è il recupero della seconda giornata di Ligue1 tra Lens e PSG, in campo lo scorso 10 settembre.

Les Parisiens si sono ritrovati con la rosa notevolmente ridotta, ma hanno ricevuto l’indicazione di giocare ugualmente. Qui a lasciare perplessi c’è il precedente dell’Olympique Marsiglia, che ha visto il suo esordio in campionato rimandato al 17 settembre per cinque casi positivi.

Europa League

Non hanno posticipato la partita neanche ai Connah’s Quay Nomads, che hanno affrontato nei preliminari di Europa League i georgiani della Dinamo Tbilisi nonostante tre positività individuate due giorni prima della gara.

Carabao Cup

Un’altra gestione strampalata e contraddittoria è quella della scorsa settimana in Carabao Cup, in quello da molti considerato il tempio del calcio: l’Inghilterra. Il 22 settembre erano in programma, tra le altre, Leyton Orient-Tottenham e West Ham-Hull City.

Il Leyton ha dato notizia il giorno prima della partita di “un numero” di casi di covid19, pertanto il giorno successivo la gara è stata annullata dalla EFL e rimandata a data da destinarsi.
La stessa sorte non è toccata al West Ham, che ha individuato a pochi minuti dal fischio d’inizio tre casi positivi, tra cui il tecnico Moyes, che sono stati allontanati dallo stadio. In quel caso la gara si è giocata e, addirittura, la nota ufficiale degli Hammers è arrivata dopo il calcio d’inizio.

Naturalmente ogni situazione è diversa e ogni decisione è sostenuta da validi motivi, o quantomeno si spera sia così. Certo è che la gestione eterogenea delle questioni legate al covid, sia in Serie A che all’estero, lascia perplessi.

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Published by
Martina Covetti