«Siamo all’inferno». Ma cara Italia, non aver paura di Wembley

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(Photo: Nick Potts, via Imago Images)

Raccontare una partita di calcio non è mai semplice. Ci sono delle sfaccettature che vanno colte, assaporate, gustate. Raccontare un Europeo risulta ancor più difficile, storicamente conosciamo le implicazioni del calcio internazionale sui meccanismi socio-politici di una o più nazioni. Raccontare e vivere, in questo caso, una partita come Italia-Inghilterra diventa talmente complesso da risultare quasi banale: una sorta di Davide contro Golia, la favola di una nazionale massacrata dalla mancata partecipazione al mondiale ma in grado di rinascere dalle proprie ceneri. E l’avversario, come nelle trame scontate ma che non stancano mai, deve rispecchiare l’archetipo del cattivo per eccellenza. L’Inghilterra “padrona di casa” nonostante un Europeo itinerante, una squadra che non vive una notte magica dal 1966, anno in cui gli inglesi alzarono il primo e unico trofeo della storia. Davanti al proprio pubblico.


Gli ingredienti per un piatto gustosissimo ci sono tutti. C’è chi si chiede se sarà una finale spettacolare o più nervosa, chi pensa allo sgarbo e chi vuole ottenere a tutti costi un trofeo europeo che sa di rivincita. Partendo dall’Inghilterra, i motivi per vincere sono davvero parecchi. Si gioca a Wembley, lo stadio per eccellenza del calcio europeo e mondiale: il pubblico sarà al 90% a tinte biancorosse, per scortare e difendere i propri beniamini sul gradino più alto del podio. C’è però una motivazione ancor più viscerale che gli inventori del calcio (così si vocifera nella Terra d’Albione) non riescono a mandar giù: un solo mondiale vinto nonostante migliaia di giocatori talentuosi passati nell’arco di 55 anni d’astinenza. Un boccone talmente amaro, impossibile da digerire dopo l’Europeo buttato in semifinale contro la Germania nel 1996. La sicurezza di aver vinto già questo torneo deriva da tutto ciò: questa volta sembra impossibile fallire.


Ma c’è un’altra storia da raccontare. Una trama più intricata, un momento ancor più particolare, forse perché ci appartiene e dunque lo sentiamo inevitabilmente più vicino. C’è la storia dell’Italia, caduta letteralmente in disgrazia dopo la mancata partecipazione al mondiale del 2018, ripudiata anche dagli esperti e dagli opinionisti altrui. Francia, Germania, Portogallo, Belgio e Spagna hanno abdicato in favore di una nazionale piena di giovano sfrontati e col petto gonfio, una banda scanzonata che sembra essere uscita più da una gita scolastica che da una selezione dei calciatori più forti. Sorrisi, scherzi, gesti diventati simbolo di una lingua che si fa capire anche se non si conoscono le principali regole grammaticali. Le proteste, le perdite di tempo, i «mentiroso» e i «ma tu chi sei» ai tifosi infiltrati nelle foto di gruppo. Una banda di ragazzini terribili con qualche ripetente che quando ci si mette rischia di essere più ingovernabile dell’intera classe. Il tutto sotto l’attenta regia di un commissario tecnico e i suoi collaboratori che cercano di rimanere seri, ma che inevitabilmente sbracano dopo aver sofferto per 120′ più calci di rigore. È una storia particolare, che si rifà al calcio nel momento del bisogno. Un attimo in cui serve la distrazione per un futuro abbastanza incerto dopo un periodo da dimenticare. Una delle regine del calcio a cui è caduta la corona e a volte anche la dignità, ma che non ha mai smesso di rialzarsi. La lastra interna di un paese che seppur al collasso sa in qualche modo andare avanti.


Ad oggi, un po’ per scaramanzia e un po’ per evitare brutte figure, è complicato dare un pronostico. L’Italia si presenterà nell’inferno di Wembley a testa alta, col petto gonfio e quel sì urlato a pieni polmoni al termine dell’inno. Si presenterà con la presunzione di chi pensa di avere in mano il mondo a 16 anni, ma che ha ancora molto da imparare. Con chi si addormenta sognando un’impresa che se compiuta rischia di rimanere impressa a fuoco al di fuori di quello storico impianto. E allora cari inglesi, domenica alle ore 21.00 andremo all’inferno. Ma per far capire meglio con quale spirito affronteremo questa sfida, è giusto citare chi a suo modo è entrato nella storia tramite le parole: «Siamo all’inferno adesso signori miei. Credetemi. E possiamo rimanerci, farci prendere a schiaffi, oppure aprirci la strada lottando verso la luce. Possiamo scalare le pareti dell’inferno un centimetro alla volta. Questo è essere una squadra signori miei. Perciò o noi risorgiamo adesso come collettivo, o saremo annientati individualmente. È il football ragazzi, è tutto qui»


Appunto, è il football ragazzi. Ma non è tutto qui. Per uscire vivi e chiudere un cerchio bisogna scalare le pareti dell’inferno a mani nude. E col petto gonfio.