Barcellona, la caduta degli dèi e l’auspicio di una rivoluzione

Barcellona

(Photo by David Ramos/Getty Images)

17 maggio 2006. Il Barcellona, da tre anni guidato da Frank Rijkaard, vince la Champions League battendo in rimonta l’Arsenal nella finale di Parigi. A trascinare la squadra la grinta di capitan Puyol in difesa, la classe di Iniesta e Deco e i muscoli di Van Bommel a centrocampo e i gol e le giocate di Ronaldinho ed Eto’o in attacco, con Giuly, Larsson e un giovanissimo Messi a contendersi la terza maglia nel trio d’attacco. Le prime crepe nel ciclo blaugrana iniziano ad aprirsi già nella stagione successiva: Supercoppa Europea e Mondiale per Club persi rispettivamente contro Siviglia e Internacional di Porto Alegre, grave infortunio occorso a Eto’o in autunno, polemica tra lo stesso camerunense e una parte della dirigenza in inverno, eliminazione agli ottavi di Champions League contro il Liverpool e Liga sfumata al fotofinish a favore degli eterni rivali del Real Madrid. Nella stagione successiva appare chiara a tutti la fine del ciclo. Il momento che ne simboleggia l’epilogo ha una data precisa: 29 aprile 2008. I blaugrana affrontano il Manchester United di Cristiano Ronaldo in Inghilterra dopo lo 0-0 maturato al “Camp Nou”, ma al 14’ il gol di Paul Scholes apre ai ‘Red Devils’ le porte della finalissima di Mosca contro il Chelsea. In estate la dirigenza opta per una vera e propria rivoluzione, affidando la squadra all’ex tecnico delle giovanili, Pep Guardiola, cedendo subito Ronaldinho e Deco e puntando tutto sul talento di Leo Messi. Il resto è storia.

L’impressione è che da tre anni in Catalogna non si voglia ripetere quanto fatto 13 anni fa. Dopo l’epopea di Guardiola e la fortunata parentesi di Luis Enrique (nel mezzo due stagioni poco fortunate con Tito Vilanova e il Tata Martino ad avvicendarsi in panchina) il Barcellona sta vivendo l’epilogo di un ciclo costellato da rovesci clamorosi in campo europeo. Le prime avvisaglie si sono avute nella primavera del 2017,  con l’eliminazione contro la Juventus di Dybala al termine di un doppio confronto con zero gol segnati (3-0 per i bianconeri a Torino, 0-0 a Barcellona). Poi le due remuntade subite nel 2018 contro la Roma (0-3 all’Olimpico dopo il 4-1 maturato in Catalogna) e nel 2019 contro il Liverpool (vittoria per 3-0 al “Camp Nou” e rotondo 0-4 subito ad Anfield Road). Lo scorso anno, nella final eight ideata dalla Uefa dopo il lockdown causa Covid, il clamoroso rovescio per 8-2 ad opera del Bayern Monaco futuro campione d’Europa. Infine, pochi giorni fa, l’1-4 subìto in casa dal Paris Saint-Germain nell’andata degli ottavi dopo lo 0-3 interno contro la Juventus che aveva chiuso la fase a gironi e fatto sfumare il primo posto nel raggruppamento a favore dei bianconeri di Pirlo. Nel frattempo sulla panchina catalana si sono avvicendati quattro allenatori (Luis Enrique, Valverde, Setièn e ora Koeman). Nel mezzo voci su dissapori tra i senatori e addirittura di un possibile addio, la scorsa estate, della stella Messi.  Il tutto mentre regna l’incertezza sulla futura presidenza del club.

Sminuire la storia di un club così glorioso in ragione dei risultati poco belli delle ultime stagioni sarebbe quanto di più stupido si possa fare, sia chiaro. Ma forse a Barcellona occorre un’altra rivoluzione come quella del 2008. A patto, chiaramente, di avere un Guardiola, un Messi, uno Xavi e un Iniesta da cui ripartire.