Calcio e scommesse: alla radice del “Disturbo da Gioco d’Azzardo”

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Fagioli, Zaniolo, Tonali e non solo: esplode il caos scommesse nel mondo del calcio. Noi di Calcio in Pillole siamo andati al radice del problema e ne abbiamo parlato con lo psicologo Onofrio Casciani, specialista nel trattamento del “Disturbo da Gioco d’Azzardo”.

I casi relativi alle scommesse che stanno coinvolgendo il calcio italiano con le inchieste partite da Fabrizio Corona e portate avanti dalla Procura di Torino sui vari Fagioli, Zaniolo e Tonali, non possono che far scattare un campanello d’allarme per le conseguenze disastrose che potrebbero ricadere sullo sport più amato in Italia, ma anche sulle problematiche psicologiche che portano certi soggetti a compiere determinati atti. La dipendenza da gioco d’azzardo è un tema serio, delicato, che obbliga chi ne parla a “mettersi i guanti”, avere tatto, ma soprattutto avere competenza per poter dare affermazioni veritiere.

Noi di Calcio in Pillole siamo voluti andare alla radice del problema, che vede coinvolti circa un milione e mezzo di italiani, e l’abbiamo fatto intervistando Onofrio Casciani, psicologo e psicoterapeuta specializzato in Psicologia Cognitivo-Comportamentale ed esperto nel trattamento del “Disturbo da Gioco d’Azzardo”.

Scommesse nel mondo del calcio: alla radice del “Disturbo da Gioco d’Azzardo”

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Cosa vuol dire essere affetti da Disturbo del Gioco d’Azzardo

“Tutti hanno un potenziale rischio di incappare nel problema del gioco d’azzardo eccessivo. In una delle ultime rilevazioni si è visto che il 42% degli italiani adulti gioca d’azzardo, circa 18 milioni e mezzo. Chiaramente in questa percentuale ci sono persone che giocano d’azzardo tanto e poco, da chi gioca un gratta e vinci all’anno, a chi visita le slot due o tre volte a settimana. Di tutti gli italiani il 3% ha un problema col gioco d’azzardo…stiamo parlando di un milione e mezzo di persone. C’è da precisare, inoltre, che si chiama “Disturbo da Gioco d’Azzardo”, non ludopatia. Esso è un disturbo della mente e può colpire tutti in un momento di fragilità della vita.

Ci sono persone più predisposte di altre? Sì, ci sono caratteristiche individuali che rendono più probabile lo sviluppo di questo problema. Per esempio se i genitori hanno sempre giocato d’azzardo è più probabile che anche i figli ci giochino, se ci sono climi di violenza o tensione in famiglia è più probabile incappare in una via di fuga come il gioco. Ci sono persone che sono anche molto impulsive, che hanno difficoltà a stimare le conseguenze delle proprie azioni, e giocando d’azzardo possono fare dei passi falsi. Un altro elemento che accomuna alcune persone può essere quello di pensare in maniera sbagliata rispetto al calcolo delle probabilità. Sono pensieri che richiamano un po’ le superstizioni…ma la variabile è il caso. Molte persone, però, non se ne rendono conto ed è come se pensassero di controllare il caso.

Alcune persone pensano di essere brave a giocare, e questo è il caso delle scommesse, ma ci si dimentica che ci sono fattori del tutto casuali che non sono controllabili, e questo si chiama azzardo. Queste vulnerabilità sono di origine temperamentale. C’è da dire una cosa: queste sono caratteristiche umane che ci sono sempre state. Perché è diventato un problema di salute pubblica? Perché una di queste variabili è quella dell’eccessiva offerta di occasioni di gioco. Le scommesse sportive sono il gioco più giocato. Ha preso piede in tutto il mondo ogni forma di gioco d’azzardo…per non parlare del gioco online. Adesso basta uno smartphone. C’è stato un crescendo incredibile di spesa per il gioco d’azzardo negli ultimi anni, fino a raggiungere 136 miliardi di fatturato.

Questo pensiero errato e disturbato del gioco d’azzardo condiziona le persone nel momento in cui si sentono in difficoltà. Quando le persone si sentono sopraffatte si affidano al caso. Bisogna dire che nel gioco si vince, è vero, ma non si sa quanto e quando. Questa idea che comunque si vince è quella che fa perseverare le persone a giocare anche quando perdono. C’è un ultimo elemento importante: ci sono aspetti più personali che rendono più fragili le persone. Le preoccupazioni, l’ansia, la tristezza e le frustrazioni sono insopportabili, e si trova una via di fuga come quella del gioco. In quel momento ci si immerge in un mondo irreale e non si pensa, si prova sollievo. Altre persone invece sono intolleranti alla noia, che hanno bisogno di adrenalina ed eccitazione, e in genere sono uomini. Il gioco d’azzardo diventa un modulatore dell’umore”.

Quando uno si può considerare affetto dal Disturbo del Gioco d’Azzardo

“Ci sono strumenti per fare una diagnosi corretta e precisa, che ha anche risvolti giuridici. C’è però un segnale importante che può fare capire alla persona interessata se c’è un problema, ed è la perdita di controllo. Per esempio se dico di spendere 20 euro a settimana poi ne spendo 30, 40 o fino a che non li ho finiti. Questo è il segnale più forte dell’esistenza di un disturbo”.

Si può guarire da questa dipendenza?

È più probabile guarire piuttosto che cercare di limitarla. Per farlo c’è un trattamento. Si guarisce individuando quelle vulnerabilità descritte prima e cercando di sanarle. Sull’impulsività di si può addestrare con strategie e tecniche precise utili a controllarla. Il controllo di un comportamento può essere fatto “a monte”, “in itinere” e “a valle”. Certe volte è meglio fare il controllo a monte.

Cosa vuol dire? Per esempio si dà la carta di credito alla moglie e si esce di casa con soli dieci euro. Però non deve essere sempre così. Nel frattempo si lavora su quelle vulnerabilità fino a che la persona non è pronta per recuperare il controllo, recuperare il denaro e usarlo con coscienza. Perché è più facile guarire che “limitarsi”? Perché solo un certo numero di persone possono sperare di uscire da una situazione di gioco eccessivo e tornare in una situazione di gioco “sociale” e normale”.

Quanto è difficile per un giocatore dichiararsi tale?

Il gioco d’azzardo piace tanto a chi è dipendente. È difficile innanzitutto perché una cosa che piace è difficile lasciarla, e quindi si creano tante alibi attorno. Si minimizza, dunque. Quando accadono cose gravi e drammatiche, ad un certo punto, si è costretti a fare i conti con le conseguenze e molto spesso si accetta di avere un problema. Spesso le persone si curano perché sono sotto pressione da parte dei familiari. C’è anche vergogna, soprattutto dal punto di vista femminile…ma ciò è dato anche da un fatto culturale del nostro paese. Questo senso di vergogna porta anche alla depressione che portano le persone a fare anche gesti disperati”.

Come sappiamo, i calciatori possono giocare d’azzardo, non gli è vietato, purché non scommettano su competizioni organizzate da FIGC, UEFA e FIFA. Secondo lei perché un calciatore decide di scommettere proprio su una di quelle competizioni, pur sapendo che può scommettere su tutto il resto? 

“Gli scommettitori desiderano procurarsi eccitazione. Questa eccitazione ha sempre bisogno di essere alimentata. Per esempio le persone che iniziano puntando dieci euro, in futuro non proveranno più la stessa senzazione…si annoieranno e dovranno aumentare. Qualche giorno fa ho incontrato una persona che mi ha detto che in un pomeriggio aveva perso 60mila euro. Perciò gli ho chiesto: ‘Perché non hai puntato 50 euro invece che 2/3mila?’ Lui mi ha risposto: ‘Non mi avrebbe dato niente’. Nel caso di Fagioli penso che oltre all’aumentare della puntata, magari, farlo in maniera trasgressiva andando a sfidare le regole, sia ancora più eccitante. Quando si è giocatori patologici c’è poca lucidità per valutare le conseguenze delle proprie azioni…e si fanno gli errori. Spero che questi calciatori si stiano curando, perché c’è la possibilità di guarire“.

Quanto è difficile chiedere aiuto

“Alcune persone, forse una minoranza, se ne rendono conto e chiedono aiuto. In molti altri casi sono amici o familiari che se ne accorgono, magari dal tono della voce, dall’umore, dal nervosismo o dall’isolamento…perché queste persone fanno danni a livello relazionale. Il riscontro che questa persona ha dagli altri fa riflettere, dunque si è indotti ad ammettere che forse c’è un problema”.