Serie A – Alla ricerca della reale dimensione

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L’avevamo definita “prova del nove”, in parte questa nona giornata di Serie A si è rivelata davvero così. In un campionato all’insegna dell’equilibrio e di una classifica corta come mai si era visto negli ultimi anni, cominciamo ad avere misura della dimensione più reale delle contendenti.  

La dimensione dell’Atalanta ad esempio, che continua a manifestarsi inadeguata, almeno in questa prima parte di stagione, al doppio impegno. All’impresa di Liverpool fa da contraltare la subitanea sconfitta con il Verona. Così, l’allievo supera il maestro: Juric fa scacco a Gasperini, con le sue stesse mosse.
In campo le squadre interpretano il gioco in maniera simile, uguale è l’impostazione tattica della partita, fatta di continue pressione in avanti e concetti recitati a memora. Tante occasioni gol, poi tanto fiato e tanta gamba e, alla fine, l’ha spuntata chi ne aveva di più, chi non ha il peso dell’impegno europeo. La Dea si scopre fragile perché poco lucida, perché ha poco ossigeno nei muscoli. L’Hellas, migliore difesa del torneo, certifica il proprio personalissimo miracolo.

Miracolo di cui avrebbe avuto bisogno la Juventus a Benevento, miracolo di cui troppe volte si prende carico Cristiano Ronaldo. Senza di lui i bianconeri soffrono di una pareggite acuta che rischia di compromettere seriamente il destino di questa stagione. Siamo alla nona e i bianconeri hanno finito i bonus: raccogliere solo un punto a partita con Benevento, Crotone e Verona suona come chiamarsi fuori dalla vittoria finale. La Juventus è lenta e senza idee, si ingolfa, retta da un motore potente ma che non riesce a girare. Di fronte il Benevento, che avrebbe potuto anche vincere, e che è pulito e ordinato, non molla ed è in crescita, soprattutto sotto l’aspetto della maturità. Paga la gavetta scontata da Inzaghi, forse anche quella bypassata da Pirlo.

Bypassato, invece, è stato anche il Sassuolo, e pure facilmente, dall’Inter. Decifrare i nerazzurri è roba da ricercatori, la squadra ha mille facce ma in Emilia mette su quella migliore. Aggredisce a tutto campo e sembra proprio quella sognata e costruita ad immagine e somiglianza del suo condottiero, Antonio Conte. Il Sassuolo è impotente difronte a così tanta qualità e quantità, si scioglie, non può fare altro. Il risultato è giusto e non severo.

Severa è la disfatta della Lazio consumatasi all’Olimpico. Anche i biancocelesti pagano dazio alla Champions e prestano il fianco all’Udinese che sulla carta sembrava spacciato. Gli uomini d’Inzaghi si presentano all’appuntamento spenti, involuti, come chi si ritrova lì per dovere. I friulani ne approfittano per rendersi protagonisti di una prestazione giocata su un equilibrio perfetto, figlia anche di un terzetto difensivo solido ed affidabile, tanto sacrificio e il tandem Pereyra-De Paul a prendersi carico di tutto il resto. Matura un 1-3, pesante per i padroni di casa e acqua nel deserto per gli ospiti alla ricerca disperata di un’oasi.

Un’oasi felice è Milanello, lo è da quando è arrivato Ibrahimovic. Sì, perché la grande verità che ricaviamo da Milan-Fiorentina è che il Milan può fare anche a meno dello svedese in campo: oramai Ibra è nella testa, ha reso tutti partecipi della sua mentalità, li ha trascinati in una dimensione differente. Fatto sta che non si sentono orfani, si sentono forti e coinvolti, strapazzano la Viola, provano una piccola fuga e la dedicano a Pioli che li osserva da casa. Il primo posto è a due colori e non potrebbe essere diversamente.
La Fiorentina, invece, comincia, a tratti, a mostrare sprazzi di ragione, di un modo di pensare al calcio, ma la strada è ancora lunga, perché negli ultimi 20 metri tutto è vanificato.

Come al vento finisce la grande pressione e intensità messa in campo dal Crotone nella prima parte di gara a Bologna. Quella che ha tutte le sembianze di una sfida salvezza, si risolve in favore dei padroni di casa, semplicemente più forti. Stroppa prova a mascherare le lacune con il sacrificio, ma ai padroni di casa basta allargare il campo e prendere in mano il possesso per far loro la partita. Il coraggio dei calabresi si scontra contro una cifra tecnica più elevata: come quasi sempre nel calcio vince la seconda. La sblocca Soriano e tanto basta. Mihajlovic evita di iscriversi all’albo come squadra con più gol consecutivi subiti nella storia; il Crotone raschia il fondo e in questo caso la nottata sembra ancora lunga.

Lunga quanto è sembrata Cagliari-Spezia. Lunga quanto sembrano tutte le partite giocate dagli ospiti. Lo Spezia non molla mai, non ci sta a lasciare qualcosa di intentato né, tantomeno, a perdere punti preziosi per strada. I sardi muovono la propria classifica ma non quanto speravano, recuperano da situazione di svantaggio, ribaltano grazie ad un foga agonistica raramente profusa, ma poi devono arrendersi all’evidenza: gli uomini di Italiano sono sempre lì e la riacciuffano al 94′. C’è da mangiarsi le mani per Di Francesco che non riesce in nessun modo a trovare continuità. C’è, invece, da soffermarsi sui numeri degli ospiti: lo Spezia ha conquistato l’80% dei suoi punti in trasferta, nessuna squadra ha fatto meglio nel campionato in corso, e ha ottenuto otto punti nelle prime cinque trasferte stagionali (2V, 2N, 1P), nessuna squadra ha fatto meglio nell’era dei tre punti a vittoria tra le squadre all’esordio nel massimo campionato. Chapeau.

Giù il cappello per Diego Armando Maradona nell’ormai ex San Paolo. Diego andava onorato dalla sua città, dai suoi ragazzi. Il Napoli, allora, lo celebra con una maglia bellissima che ricorda l’albiceleste argentina e con una prestazione da favola, coronata da un 4-0 perentorio su una avversaria diretta, la Roma. Fanno tutto bene gli azzurri, sono corti e compatti, aggrediscono alto, senza prestare il fianco alla ripartenza. Segnano come faceva il Pibe su punizione con Insigne, e con Fabian, con Mertens e alla fine in slalom, sempre maradoniano, con Politano. Sembra un gioco del destino.
I giallorossi stanno letteralmente a guardare, non hanno nulla da recriminare perché è come se in campo non ci fossero, come se fossero ad una serata commemorativa. Male i tre tenori e tutto troppo brutto per essere vero. La vera Roma non è questa, ma perché non si sia presentata va chiesto a Fonseca. Questa prima parte di campionato li poneva nella dimensione delle grandi, dobbiamo ricrederci?

Piacevoli le partite del lunedì: Torino-Sampdoria e Genoa-Parma. Ci dicono che i granata non sanno più vincere perché ancora una volta dilapidano un vantaggio, lasciando alla Sampdoria il tempo di rimontare ed illudersi di poterla anche vincere. Certo, se non fosse stato per un super Audero staremmo qui a parlare di un 3 a 2, ma non è andata così e Giampaolo non è più nella condizione di vivere di alibi e di se. Giustificazioni delle quali non può servirsi nemmeno il Genoa, ancora perdente, ancora sopraffatto dagli avversari, ancora in basso in classifica come negli ultimi terribili e infiniti anni. Prende una boccata d’aria Liverani, che ha ottenuto ciò che ha chiesto ai suoi: ordine e ripartenza.

Chiusa la nona giornata, la prova del nove, si aspetta che suonino le trombe per la decima: il Milan cercherà la lode, le inseguitrici la continuità.